L'UOMO CHE UCCISE DON CHISCIOTTE, di Terry Gilliam


Toby Grisoni è un regista pubblicitario. Un giorno da un venditore ambulante compra il dvd di un vecchio corto su Don Chisciotte che aveva realizzato quando era uno studente di cinema. L'uomo si ricorda di Javier, vecchio calzolaio che dopo quell'esperienza si è convinto di essere Don Chisciotte, e di Angelica, barista della quale si era innamorato e a cui aveva promesso di diventare una diva...


Se l'estro e la fantasia di Terry Gilliam sono famose, ancora di più lo è la sua sfiga nel realizzare questo film, che dovette superare allagamenti di set, morte di attori, fondi di budget esauriti e altre beghe simili. Il progetto impossibile di una vita, tanto da aver ispirato il documentario Lost in la Mancha, che in qualche modo lo ha tenuto impegnato per più di un ventennio e che finalmente, dopo dài e dài, è riuscito a realizzare.

A rendere ancora più divertente la cosa, durante la prima di presentazione ebbe un ictus...

Resta il fatto che questo film per molti era come il desiderio di vedere nuda la più bella della scuola durante le superiori e, finalmente, Gilliam "lo uscì" dopo decenni di attesa e mille ipotesi fatte. Proprio per questo è difficile parlarne, anche da parte di uno che Gilliam lo ha sempre apprezzato, ma in maniera contenuta. Perché è impossibile riuscire a parlarne lucidamente, dopo che si porta sul groppone così tanta leggenda, e non solo quella di Cervantés.

Si vede che Gilliam ci teneva a questo film, perché a suo modo è lo specchio perfetto del suo modo di fare cinema. Racchiude tutti quelli che sono i suoi temi cardine, le sue ossessioni e le particolarità che lo rendono un autore così eccentrico ed amato nella sua speciale cricca, con buona pace di Zack Snyder. C'è l'ossessione per la ricerca, il racconto, un implicito omaggio al cinema e alle storie già dal titolo e il tentativo di sistemare la propria, di storia.

Personalmente, credo che ci siano due tipi di storie, nella pratica realizzativa: quelle di pancia e quelle lavorate. Quelle di pancia sono imperfette, ma ti colpiscono proprio lì e, al netto dei loro difetti dettati dall'entusiasmo, sanno coinvolgere; troppa sovrastruttura invece a tratti blocca il racconto anche ai più esperti, si nota quando un progetto è stato riscritto più volte perché prende troppo la testa e poco lo stomaco. Non so spiegarlo meglio di così, a me succede.

Mi è successo anche con questo The man who killed Don Quixote.

Certo, non si può pretendere la perfezione assoluta da un film che si porta una propria storia, oltre a quella che racconta. Ma davvero, a tante cose bellissime, ne aggiunge altre meno convincenti, delle palesi riscritture per aggiornarlo al cambio di cast e di epoca narrativa, perché in quasi un trentennio di cose ne cambiano parecchie e l'opera stessa deve stare al passo.

È un film che non è più solamente mera espressione artistica, ma diventa anche la testimonianza di come Gilliam stesso, un Don Chisciotte che corre verso i mulini a vento della scalogna, sia riuscito nel proprio intento con la solita testa dura che lo caratterizza. Ma questa testa dura che non riesce a stare dietro al proprio immaginario assurdo e anarchico, forse uno di quelli che, per me, a volte ha bisogno di ascoltare il proprio Sancho Panza personale che gli dica di fare un passo indietro.

Perché nel suo confondere realtà e finzione, come da tradizione letteraria, il film mostra forse le sue uniche falle, proseguendo poi all'impazzata in un finale da mal di testa che da una parte riesce a essere bellissimo, dall'altra è come ammirare un tramonto quando si ha il fiatone perché hai voluto vederlo in cima alla collina più alta di tutte.

Gilliam prova a raggomitolare la matassa di tutto il proprio cinema auto-citandosi (e allora nomina anche la tua comparsata in Jupiter ascending, dai...), ma si ha a volte l'effetto di una festa per soli appassionati dove chi non si pippa sul cinema dell'ex Monthy Pyton almeno due volte a settimana sembri non avere un invito. Ed è un peccato, perché tutti i discorsi meta cinematografici fatti risultano monchi o non approfonditi abbastanza, un po' delle trovate fighette come il protagonista Grisoni (oh, Driver, fuori da Star Wars sei pure bravissimo!) che avrebbero meritato un trattamento ben diverso.

Quindi sì, film forse troppo lavorato dopo tutti questi anni di rimandi e soppressioni. Ma quelle volte che chiede alla pancia di essere colpita, tamburella forte.

Rimane sempre un omaggio alle storie da parte di uno che le storie le ha sempre fatte, sapendole fare, e che le ama tutt'ora. È questo il lato che ho apprezzato, anche se non sono un fan esaltato di Gilliam. Ed è questo che mi porto via della sua versione del tòcco più famoso della letteratura.

Le storie, alla fine, vivranno per sempre, anche dopo di noi. È questa la loro forza.





Commenti

  1. 25 anni di fare e disfare, si vedono tutti, seguendo la tua azzeccata teoria, nella pancia di questo film di pancia, ci sono ancora i segni di quello che avrebbe dovuto essere, e va bene, le cicatrici vanno portare per ricordo, Gilliam lo fa con molta grazie e scherzandoci su, il film è sbilenco come il suo creatore eppure è stata una delle migliori esperienze cinematografiche dell'epoca recente. Visti uno via l'altro gli ultimi due o tre film di Gilliam, oltre ad essere una collezione di sfighe mai finite, sono un trattato sulla malinconia, andrebbero visti uno via l'altro per coglierlo al meglio. Con la sua comparsata in quella porcata di "Jupiter ascending" Terry ha portato a casa i soldi necessari a girare mezz'ora del suo film, come trasformare il piombo in ora, ho detto piombo, sono stato gentile ;-) Cheers

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    1. Fin troppo gentile 😂 e sì, sbilenchissimo, ma con un cuore immenso. Peccato che tra il dire e il fare però ci sia il mulino. Fatto nei tempi e nelle condizioni giuste, avrebbe superato "Brazil" o l'esercito primate. Purtroppo è andata così e, coi suoi pro e contro, è il manifesto di chi non si fa piegare da nessuno.

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  2. Ci son voluti più di 20 anni ma c'è riuscito, e gli va il giusto merito, tuttavia neanche altri 20 venti ci vorrebbero per aggiustare un film nato squilibrato.

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    1. Man parte del suo bello sta anche nel disequilibrio, per me.

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  3. Io l'ho amato molto e l'ho amato per i motivi detti da te e da Cassidy nel suo commento. Sicuramente scricchiolante e imperfetto, ma così pieno di vista e di tutto quello che è sempre stato Gilliam e in più con un Diver per me straordinario, che non gli si può volere male in alcun modo.

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    1. Concordo. Un film che nonostante i difetti vive di luce propria, in un panorama di fotocopie.

      Pd: Holy Diver 😜

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  4. Alla fine sicuramente non è uscito come lo avrebbe voluto Gilliam ma a me è piaciuto ugualmente e mi ha aiutata a rivalutare Adam Driver, fino a quel momento conosciuto come "er frignetta".

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  5. Molto interessante la tua recensione!

    Io uscì dal cinema estasiato, ubriacato dall'esperienza! Capisco che alla maggior parte della gente piaccia meno di quanto sia piaciuto a me, proprio per le ragioni che hai spiegato bene nel tuo post, però io non posso che amarlo questo film...

    Ne ho pure scritto sul mio blog e sotto la mia recensione ho appena aggiunto il link alla tua! :--)

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    1. Oh, grazie mille! 😁 a me Gilliam piace, ma con lui ho un rapporto meno stretto di quello dei suoi molti fan. Comunque, ci vorrebbero più autori col suo entusiasmo e amore per le storie, quello sì!

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