GOZU, di Takashi Miike

A causa di un forte squilibrio mentale che lo ha reso (ancora più) pericoloso, lo yakuza Ozaki deve essere eliminato. A doversi sobbarcare l'ingrato compito è Minami, che nutre una riverenza ambigua verso il collega. Ma durante il viaggio non se la sente e finisce col perderlo. La ricerca lo porterà a...

Il fatto che io mi metta a consigliare un film di Takashi Miike è un po' come la scoperta dell'acqua calda, specie ora che bisogna disinfettarsi le mani ogni tre per due. Però è anche vero che il nostri nei primi Anni Zero ha vissuto il suo massimo splendore creativo di cui questo Gozu è uno degli esempi massimi,

Ma andiamo con ordine...

A rendere questo Gokudō kyōfu dai-gekijō - Gozu (salute!) un film a sé è anche la sua genesi. Già che ne abbia avuta una, fa capire che i mondo è governato da forze molto strane...

Miike è famoso oltre che per pippare di brutto tra le varie cose anche per non rifiutare nessuna delle sceneggiature che gli vengono proposte. E grazie al ciufolo, non arrivi a oltre cento film se fai lo spuzzettino, ma questa fu la sola che lo fece desistere.

Il nostro però non si limitò a rifiutare, ma prese sottobanco lo script per correre dal fidato Sakichi Satō.

Probabilmente il suo nome vi dirà poco, ma lo avete sicuramente visto. E' il "Charlie Brown" di Kill Bill volume 1, il gestore del locale perculato dagli 88 folli. Con lui Miike aveva già collaborato per Ichi the killer, film che tutti dovrebbero vedere almeno una volta nella vita, e quindi la faccenda sembrava risolta già in partenza.

Ecco, a fine visione viene la curiosità per dure cose: leggere com'era in origine la sceneggiatura e comprendere cosa porti delle persone a fare un film simile.

Che se non si fosse capito, è una discreta bombetta.

Miike doveva ancora arrivare a quelle che sono le sue opere più assurde e anarchiche (Izo e Big bang love: juvenile A) ma questa ci va vicino. Originariamente pensato per il mercato dell'home video casalingo, una proiezione al Festival di Cannes e l'ovazione che ricevette convinse i produttori a distribuirlo anche per il circuito cinematografico, e avrei pagato oro perché uscisse pure in Italia solo per vedere le facce esterrefatte degli spettatori.

Perché qui di stramberie ne abbiamo davvero in abbondanza, tra yakuza che schiumano e trucidano cagnetti, dialoghi assurdi, gestori transgender, mungiture umane, minotaureschi travestimenti e pure un parto live. Di un adulto. Reincarnato...

Che il nostro provochi per il gusto di farlo è cosa ben risaputa, eppure dietro i suoi film., quelli che lo hanno impresso nella memoria cinefila, hanno sempre qualcosa dietro, anche nonostante il suo essersi sempre definito disimpegnato su qualsiasi fronte.

Che siano quindi le immagini del regista di Osaka o gli intrecci ideati da Satō, Gozu porta avanti - alla sua personalissima maniera - la tematica della crescita, dell'abbandonare la figura paterna per poter cercare la propria via. 

Tutte le figure di riferimento, che siano Ozaki o il boss con la passione di infilarsi mestoli su per il c*lo, sono ininfluenti, non riescono a ricoprire questo ruolo degnamente, segno di una virilità che poggia su basi fallaci e che dovrà trovare nel proprio labirinto personale l'energia per riuscire a fare quello che serve, a prendere decisioni autonome che possano definirlo uomo.

Simbolica è anche la funzione della donna, riversata sugli altri personaggi sia intesa come maternità, rifiutata e non compresa a fondo, fino a un'ideale pace finale - molto japan style, per quanto possa cozzare con la nostra cultura.

E colpisce soprattutto il modo in cui tutto viene rappresentato, a riprova che Miike si è ritrovato nella settima arte quasi per caso e che, lontano da schemi prefigurati (ammise, anche se venne smentito, di aver frequentato solo una settimana di corsi alla scuola di cinema), è riuscito a formare un proprio immaginario, mescolandolo a mo' di poutpourri ideologico e anarchico.

Nessuna regola, nessuno schema preimpostato, una formula che nelle mani di un qualsiasi sprovveduto darebbe il risultato di un Jodorowski wannabe, mentre qui tutto sembra assurgere a una precisa logica. 

Non la si comprende sempre e a tratti risulta pure #toomuch, ma come ci testimonierà il ghigno finale, non si cresce mai veramente e ogni tentativo di lasciare da parte il sé bambino è solo un giocare nel circo della follia. Miike ne ha in abbondanza.

Assurdo, violento e pure volutamente nonsense nella peggiore delle maniere.

Forse proprio per questo, a suo modo, imperdibile. E nel bene e nel male vi sfido a dimenticarlo aa fine visione.






Commenti

  1. E non si dimentica no, questo film abbastanza strano per usare un eufemismo che nella sua follia ti fa perdere.

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    1. Stanno fuori come dei poggioli in un giorno di pioggia...

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Ragazzi, mi raccomando, ricordiamoci le buone maniere. E se offendete, fatelo con educazione U.U

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