BLONDE, di Andrew Dominik

Da tutti conosciuta come il sex symbol per eccellenza d'America, ma dietro la donna da copertina, l'oca sexy, c'era Norma Jean Baker. il film prova con un esperimento audace a raccontare lei, l'altra e il mostro di Hollywood... 

Andrew Dominik non è un regista che nomino spesso, ma sono molto legato a due suoi lavori. L'assassinio di Jesse James blablabla, biopic atipico (e altrettanto atipico western) sul noto brigante fu un film a suo modo folgorante, mentre Cogan lo vissi come un ritratto impietoso della crisi economica che tutto il mondo stava attraversando in quel momento.

Due film ricordati solo da Brad Pitt (con Jesse vinse la Coppa Volpi a Venezia), da me e dalla mamma del regista, ma nei quali ho visto ritratto il peggior scibile umano esistente con una delicatezza impareggiabile.

Proprio per questo non mi spiego 'sto troiaio.

Per dirigere l'ennesimo film sull'icona per eccellenza della Hollywood degli anni d'oro, Dominik si basa sul libro di Joyce Carol Oates. Non una vera e propria biografia, quanto un mattonazzo che rasenta le mille pagine e che romanza a briglia sciolta quelli che furono i fatti legati all'attrice. Il risultato è un grottesco guazzabuglio che pare avere degli intenti precisi all'inizio, perdendoseli poi per strada.

Seriamente, sembra quasi che Zack Snyder si sia messo a fare il sentimentale...

Ora, va fatto un discorso molto serio, perché da qui a dire che questo film non meriti di essere visto ci passa tutto il cucuzzaro di Netflix. Persino nel peggiore dei risultati, difenderò sempre chi osa, chi sperimenta, chi ha una propria idea di cinema e non ci rifila l'ennesima scoreggina ben fatta. Quindi, ben vengano Dominik e il suo lavoro, per quanto sbagliato, intellettualmente disonesto e gratuito sotto tutti i punti di vista. 

L'arte passa anche da un film di merda che, in quanto tale, va visto per discorrerne.

Dall'altra però mi viene da dire che forse sono stati i quasi dieci anni lontani dalla macchina da presa (salvo due episodi di Mind Hunter, sempre per Netflix) ad aver mandato in pappa il nostro, poiché mi rifiuto di credere che l'autore di quei due bellissimi film sia la stessa mente dietro a 'sta cacata inenarrabile.

E non me ne vogliano quelli che a Venezia hanno applaudito per un quarto d'ora, ma non ci trovo nulla di difendibile... anche se il buon Dominik mostra in più punti la sua bravura.

Perché di scene che funzionano ce ne sono e pure in abbondanza. Parte con una sequenza in notturna degna del Tarkovskij più malato, in grado addirittura di richiamare Bergman per più punti di vista, insieme ad altre sconfinanti in un horror di quelli belli pesanti (e ripeto... per quanto il periodo delle vacche grasse sia finito, Netflix ogni tanto mi stupisce), il problema però è che il montato finale non ha un vero e proprio raccordo, risulta ridondante e pesantissimo (già non è di suo una passeggiata), ma soprattutto, incoerente sotto diversi aspetti non proprio ignorabili.

Non interessa raccontare vicende biograficamente accurate, quanto lo sminuzzare il biopic stesso per mostrare come il cinema, lo spettacolo e il mettere in mostra abbiano ucciso in più modi quella donna e molt* altr*, creando un occhio aggiuntivo che è quello degli stessi media che osservarono lei, sullo schermo e nella realtà. Dominik prova a plasmare il media stesso, ricorrendo a sequenze rasenti la videoarte, ponendo il soggetto che portò al divismo più estremo di quegli anni e dare uno spaccato della visione moderna dei media e della cultura della persona.

Per questo vengono riprodotti e alternati tutti i formati di ripresa possibili, così come l'alternanza dei colori - mi viene da pesare che le parti in technicolor siano quelle su Norma Jean e il b/n su Marilyn - ma la lotta tra questo dualismo, così come la sua creazione, la concretizzazione del mito, appare davvero stupida, grottesca e nonsense. 

Pure irrispettosa verso un personaggio e chi come lei ha affrontato la ricerca di sé, l'identità e il peso della condizione di essere donna.

Perché è inutile mettermi che leggeva Dostoevskij se poi si tratta solo di una che subisce continuamente senza mai alzare la testa (cosa che lei fece, e si adoperò pure in termini di beneficenza e divulgazione), riassumendo tutto il disagio come un "le mancava il papà". 

Mannaggiaggerusalemme, il cinema è sintesi di immagine, non di concetti, perché questo è un discorso traballante, pericoloso e a dir poco fuorviante per quello che è il totale del vissuto di un personaggio. Quello qui mostrato non è femminista e non p nemmeno rivendicazione.

Tutto il discorso paterno non rende giustizia al suo cercare un'origine, al suo indagare su un senso, poiché la complessità di una persona, anche a chi oca lo è veramente, apre a sfondi molto più grandi e complessi. Il desiderio di sentirsi amati, che è quello a trasparire da una simile figura tragica, assume sfaccettature che non si possono bellamente riassumere con una foto attaccata sul muro e fuoriuscita dai deliri di una madre pazza.

Dominik gioca con la mdp al pari di un Lynch wannabe, restituendo solo un ritratto caotico. Ma di quel caos che è come far scoppiare un raudo nel cesso chimico a un concerto degli Slayer.

E il gratuito di certe scene...

Io non dico che ci siano dei limiti in quello ce puoi rappresentare. Tornando al discorso di prima, non toglierei dal commercio nemmeno A Serbian film. Ma quando l'assenza di una scena non cambia nulla nella narrazione, allora vuol dire che ci sono dei problemi. Ecco, Blonde è un insieme di scene (una su tutte, quella del pompino a JFK) che nel spingersi alla ricerca dell'estremo più assoluto, non cambiano nulla. Quindi, va da sé, sono gratuite, reiteranti e a tratti quasi offensive nel ritrarre un personaggio realmente esistito, specie con intenzioni così serie. 

Tra l'altro, mostrare un feto senziente è proprio la scelta più intelligente in un periodo come questo...

E basta elogiare Ana de Armas, ve prego.

Per concludere, una piccola parentesi biografica.

Joe DiMaggio, per quanto fosse violento per davvero (gli italoamericani devono essere sempre in canotta?), dopo la fine della loro relazione fece di tutto per aiutarla durante gli anni in cui rischiò il ricovero psichiatrico, pagando infine di tasca sua i funerali e inviando sulla tomba di lei ogni mese un mazzo di rose. Arthur Miller invece, che nel film è rappresentato come un agnellino, le fregò i soldi durante il matrimonio e dopo il divorzio la sputtanò allegramente coi suoi scritti.





Commenti

  1. Io l'ho trovato di una pesantezza indicibile... interminabile, infarcito di pessimo gusto. E almeno ho avuto la fortuna di vederlo al cinema (dove la qualità tecnica - quella sì - del lavoro si riesce ad apprezzare). Se lo avessi visto a casa mia lo avrei abbandonato dopo mezz'ora

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    1. Il problema del "trash" è il non essere consapevole...

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    1. Guarda, bellissimissima... Ma la recitazione per me è altra cosa 😅

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    2. Sono probabilmente l'unica sul pianeta Terra che non la trova bellissimissima,ma mi è parsa calata nella parte, nonostante la sceneggiatura da rigozzo e la regia insopportabile

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    3. Al di là del risultato, chi la dirige non è uno sprovveduto e forse quello ha aiutato. Però lei mi risulta sempre insopportabile... 😅

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