VIVARIUM, di Lorcan Finnegan

Gemma e Tom sono una giovane coppia in cerca del loro nido d'amore. Si affidano a una particolare agenzia immobiliare e Martin, l'eccentrico dipendente, li porta a visitare il quartiere Yonder... peccato che l'agente scompaia nel nulla improvvisamente e paia impossibile lasciare quel complesso residenziale...

Una cosa è assolutamente indubbia: la vita fa schifo. L'arte non solo serve a renderla più bella, ma a trasformare in bellezza questa convinzione ferrea, esorcizzare le paure e renderle in qualche maniera èiù comprensibili e gestibili. D'altronde, i generi letterari sono nati proprio per descrivere il presente e declinare in altri versi le ossessione dell'uomo - strungi stringi, ovviamente. 

La fantascienza e l'horror sono stati alcuni elementi simbolo di tutto questo e non è un caso che spesso si fondano in maniera a dir poco inquietante per inquietanti risultati.

E proprio inquietante è questo Vivarium, seconda prova dietro la macchina da presa di Lorcan Finnegan, un apparente "semplice e lineare" thriller fantascientifico...

Si tratta di cinema indipendente - da qui la libertà di poter sperimentare e profondersi in concetti poco piacevoli - che non potrà vantarsi di essere un capolavoro, ma nonostante alcune perdonabili incertezze rimane una pellicola in grado di lasciare lo spettatore non solo con dei concetti su cui rimuginare, ma con una ("piacevole") sensazione di fastidio anche dopo i titoli di coda.

D'altronde, quello di cercare la propria strada e un viatico verso la vita da adulti è qualcosa che abbiamo attraversato in molti. Quando questa necessità è autentica o meno? E cosa è realmente voluto o è solo frutto di un costrutto sociale obbligato? I discorsi sulla maternità ultimamente stano spuntando come funghi, così come la validità del matrimonio o delle relazioni. Tutte cose che in qualche maniera troviamo nel film, al passo coi tempi - e anticipatore di alcune sensazioni che avremmo provato un anno più tardi con il lockdown, se vogliamo esagerare.

Finnegan crea quindi insieme allo sceneggiatore Garrett Shanley una storia a prova di bomba che poggia su un concetto semplice ma efficace: se nel cercare una casa venissimo inchiodati a una vita che non è la nostra?

D'altronde, la nostra vita l'abbiamo scelta per davvero?

Qui esagera a piacere di metaforone, ma in tanti si sono trovati incastrati in un lavoro che detestano, abbandonando ambizioni e sogni, solo perché c'è un mutuo da pagare. Senza contare che per almeno quarant'anni il lavoro ci ruba almeno otto ore al giorno, lasciandoci poco altro per vivere. 

Questo è quello che attraversa tutto il film per i suoi novanta minuti di durata. E per quanto possibile, insieme alla portata principale, Finnegan e Shanley riescono a infarcire di molto altro attraverso suggerimenti e sfumature. Abbiamo non solo il discorso sulla maternità, ma anche quello delle parti coinvolte, il ruolo del maschile e del femminile... insomma, per una storia statica che vede coinvolti tre solo tre attori per gran parte del tempo, il risultato c'è ed è più che ragguardevole.

Soprattutto, ho gradito come i generi di riferimento siano solo suggeriti e non solo per una questione dui budget (sicuramente non altissimo, ma usato alla perfezione), ma proprio per lasciare che siano i personaggi e l'ansia crescente a parlare al posto di spiegazioni astruse ed effettacci di vario tipo.

Poi sì, non è perfetto.

Diciamo che per quanto riescano a rendere credibile e attuale una trama palesemente debitrice a una fantascienza vecchio stampo (per esempio, Us difettava già di più da questo punto di vista) il soggetto non copre del tutto i novanta minuti di durata, tanto che un certo twist avviene troppo presto e per un periodo della parte centrale si trova a girare in tondo, creando una sorta di stasi che non fa proseguire il discorso e gli eventi, così come la sequenza finale rivelatrice rivela troppo e al contempo troppo poco, risultando sicuramente di grande effetto seppur con un equilibrio precario.

Ma, ripeto, tutti particolari su cui si può tranquillamente passare sopra,

Personalmente, quel quartiere così apparentemente perfetto ma dove tutto rimane uguale, quell'alternanza di colori pastellosi in mezzo al disagio che viene perpetrato su quelle strade, insieme alle nuvolette batuffolose, gli inserti di art nouveau e la televisione che trasmette solo texture ambigue, insieme alla sequenza più horror di tutte che vede la gola del bambino gonfiarsi (rimando agli obblighi sociali?) ci ho visto davvero tanto della vita, di quello che personalmente sto vagamente attraversando adesso e di situazioni in cui ho visto altro immergersi.

Così come in quello scavare di lui ho visto il cercare a tutti i costi un senso per qualcosa che, forse, non ne ha. E allo stesso modo non avremo spiegazioni - non necessarie, d'altronde - in questo film. Perché la funzione metaforica e la sua forza sta proprio in questo. Nel vertere gli estremi per illustrare una deformazione della realtà, poggiando su assunti fin troppo realistici.

Insomma, un piccolo film che si fa notare e, soprattutto, ricordare.

Una fantascienza essenziale che porta l'arte del racconto a livelli alti, con una fotografia eccezionale e degli attori perfettamente in parte - e trovare Eisenberg sopportabile è arduo, fidatevi. 

Assolutamente consigliato! Vedremo come si gestirà la carriera Finnegan. 







Commenti

  1. Ok me lo hai venduto con grande maesttria, in pratica solo dall'incipit di scrittura. Oltretutto non vedevo Imogen Poots dai tempi di 28 Settimane Dopo!

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    1. Scopro ora invece che io l'ho vista in tantissimi film senza saperlo 😶

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  2. Film gestito con molta intelligenza da Finnegan, niente male.

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  3. Figurati che io me l'ero guardato in pieno lockdown. Un'angoscia che non ti dico, tanto che lo ricordo bene ancora adesso!

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  4. Rimasto impresso sì, ma lo ricordo anche perché non che mi piacque tanto, anzi, la metafora che si mangia il film, però l'inquietudine conta.

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    1. Ma infatti punta tutto sull'inquietudine, come trama in sé non è nulla di nuovo.

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