MOON, di Duncan Jones


Sam Bell è l'unico lavoratore sulla base lunaria Sarang e sta per concludere il suo contratto lavorativo di tre anni. Dopo un incidente si risveglia in infermeria con un lieve vuoto di memoria, fino a scoprire che lì sulla luna, proprio nel veicolo dove ha avuto il disguido, c'è un suo clone che...


I figli d'arte sono una categoria piuttosto odiosa. Avvantaggiati in tutto e per tutto - nel mondo normale li chiamano raccomandati e sono quelli a rubare il lavoro - nel raggiungere le cariche più prestigiose, hanno, dall'altro capo della medaglia, il gravoso compito di scrollarsi di dosso questo odioso epiteto. Certi ci riescono, altri no. Poi c'è Nicolas Cage che gioca in un campionato così a parte che sfugge da ogni possibile categoria e collocazione.

Nel 2009 però arrivò Duncan Jones e al Sundance di quell'anno non fu più il classico figlio di uno famoso, ma un regista a tutto tondo. Moon fu un'opera che, nelle sue ambizioni piccine picciò, fece dimenticare molte cose a tutti.

Duncan Jones, all'anagrafe Duncan Zowie Haywood Jones, è altresì figlio di David Robert Jones, meglio conosciuto dai più come David Bowie. Per gli amici, il Duca Bianco. E capirete allora tutti cosa può voler dire, nel bene e nel male, quando nelle vene ti scorre il sangue di uno degli inglesi più fighi e influenti della storia. Sicuramente tante cose semplificate, ma altrettante difficoltà nel far dimenticare alla gente che sei su questo palco e di ringraziare chi ti ci ha portato dentro.

Ma arrivò con Moon, dicevamo...

... che tra l'altro, uscì quarant'anni esatti dopo Space oddity.

A seguire una gavetta di vari cortometraggi e il famoso spot Fashion vs style, riuscì a produrre questa sua opera prima che aveva ideato su misura dell'attore Sam Rockwell, con un budget ridotto all'osso per cercare di essere comunque il più umile possibile nonostante tutto.

Moon è un film di fantascienza (ma davvero?) che omaggia i classici del genere, senza comunque esserne totalmente succube. I rimandi a una certa letteratura dickiana e all'estetica volutamente retrò, che crea il necessario contrasto con alcuni inserti tecnologici, sono palesi e dichiarati fin dalle prime inquadrature, per quello che è uno sci-drama essenziale e minimale. 

Non a caso, anziché sugli effetti speciali digitali, il regista ha voluto basarsi unicamente sulle riprese in studio e sull'uso dei modellini, che contribuiscono a creare la particolare estetica voluta da Jones, che si è affidato addirittura allo stesso team creativo dell'Alien di Ridley Scott. Minimo risultato per la massima resa, perché le scenografie esterne non hanno nulla da invidiare a qualunque colossal.

Ma il vero perno della pellicola sono gli attori. Anzi... l'attore!

Perché se Bowie jr riesce a gestire tutto con mano sicura, cosa non semplice anche se si tratta di qualcosa che avviene letteralmente tra quattro pareti, è Sam Rockwell che porta tutto il film sulle spalle, sdoppiandosi e recitando due ruoli in uno... o un ruolo replicato... o... beh, avete capito. Che se da una parte è semplificato dal fatto che si tratta dello stesso personaggio, dall'altra la cosa si complica perché dimostrare le diverse emozioni dello stesso quando si trova in differenti prospettive nello stesso momento allora i giochi si fanno davvero complicati. 

Eppure no. Rockwell gestisce il tutto con la sicurezza di un fuoriclasse, dando delle sfumature che solo l'occhio più attento può cogliere del tutto.

Moon diventa così un film che, senza perdersi in pipponi metafisici o in rimandi eccessivamente intellettuali, ma solo con la semplicità di una bella storia raccontata egregiamente, cerca di fare un discorso sull'esistenza e sul diritto di ognuno di poter vivere la propria vita, lasciando quella salvifica nota di speranza sul finale che non diventa minimamente buonista o fastidiosa, ma apre il tutto a scenari molto più grandi che lasciano il loro peso anche se non mostrati.

Perché la vita sarà anche solitudine, alienazione, dolore e sofferenza, ma chiunque è disposto a lottare fino allo stremo per essa.







Commenti

  1. Figlio di cotanto padre spaziale, un gran bel film la cui unica ingenuità forse è quella spiegazione finale che promette giustizia, ma è un difetto minore, Sam Rockwell sugli scudi e l'unico ruolo che Kevin Spacey potrà interpretare nei prossimi anni, quello della voce. Cheers!

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  2. Minimal, bello, anche se la sua aura di cult me lo aveva fatto immaginare bellissimo.

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    1. Ebbi la fortuna di vederlo quando internet ancora non metteva questa cosa che chiamano "AIP" 😅😂

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  3. Niente da aggiungere, gran film, scommetto che il padre ne andava fiero ;)

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    1. Per forza. D'altronde era famoso per avere buon gusto 😬

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  4. Per me film straordinario, poi un esordio quindi ancora più sorprendente. Rockwell è davvero un fuoriclasse.

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    1. Vederlo solo poco tempo dopo fare le smorfiette in Iron Man 2 mi mise una gran tristezza...

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    2. Va beh oh, alla fine i soldi servono a tutti :)

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  5. Il nostro Sam stupisce, colpisce per la sua capacità di sapersi muovere sempre nelle situazioni più disparate, gli ultimi suoi film da Tre manifesti, a JoJo Rabbit, l'ultimo di Eastwood "Richard J." denotano un carisma, un suo fascino particolare. Questo film visto anni fa, lo ha senz'altro portato alla luce, regalandogli un ruolo che difficilmente si dimentica. Lui contro se stesso, quando anche un clone decide di voler vivere la propria vita. Si parla di riferimenti ad altri film, per me che di fantascienza non ne ho visti molti è stata una piacevole novità, se ci sono difetti non li ho visti, mi sono anche commossa.....un film che resta.

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    1. Dico solo che concordo su tutto ;) più che riferimenti, sono ispirazioni estetiche.

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