RAW - UNA CRUDA VERITÀ, di Julia Ducournau

La giovane e timida Justine va in Belgio, dove studia anche la sorella Alexia, per iniziare l'università di veterinaria. Proprio durante una prova di iniziazione, viene costretta a mangiare un fegato di coniglio crudo. Per lei, vegetariana come tutta la famiglia, è la prima volta che mangia carne. Questo scatenerà in lei una voglia irrefrenabile di proteine, che sazierà con conseguenze estreme...

Il 2017 fu letteralmente scosso dall'esordiente Julia Ducournau. che con questo film, presentato in pompa magna al Festival di Cannes, ebbe modo di farsi conoscere. L'ascesa continuò anche al Toronto International Film Festival (il famoso TIFF, che fa molto sigla statale) dove leggenda nausea ci furono degli svenimenti in sala per le scene di sangue. Ovviamente da noi è stato distribuito direttamente in home video con il "raffinatissimo" sottotitolo Una cruda verità, per sottolineare la tematica del cannibalismo.

Probabilmente gli adattatori dovevano essere toscani.

Questo però non gli ha impedito di imprimersi nelle visioni cinefile di quell'annata, divenendo un titolo di culto e sancendo anche la nuova era delle donne che si cimentano con l'horror. Senza contare che quattro anni dopo la Ducournau vinse la Palma d'Oro a Cannes per il suo secondo film, Titane. Poi dovrete spiegarmi anche perché il fatto che al gentil sesso piacciano i film horror debba creare tanto scompiglio, ma in parte ci arriveremo anche grazie all'analisi del film...

Che a me, stranamente, non è piaciuto.

La cosa assurda è che al proprio interno ha tutte quelle cose che di solito bastano a mandarmi ai grilli solo nominandole. Abbiamo l'incapacità di inserirsi in un contesto ordinario, abbiamo delle riprese anche decisamente elaborate per essere un esordio, ci sono le crisi di identità e, sopra ogni cosa, la ricerca della propria. E Garance Marillier che passa dall'essere una bambina a una preda con una facilità degna degli attori più navigati.

Può sembrare poco, ma anche nell'horror la componente attoriale è molto importante. In un solo sguardo può nascondersi tutto l'orrore di questo mondo, perché quello che si mostra ha degli effetti anche su chi lo vive, ed è questo che il genere ha sempre voluto trattare: come la società crei i veri orrori e come gli stessi influiscano su chi li vive. 

E' per questo che chi ama l'horror, finisce per amare i cosiddetti mostri.

E Grave (questo il vero titolo originale) a suo modo parla anche di mostri, usa la metafora del cannibalismo per conglomerare dentro di sé tante cose. Troppe forse, alcune sviscerate anche bene, altre un po' meno.

Siamo ormai in un'epoca disattenta dove si deve cercare di stupire in ogni modo e questo la Ducournau sembra saperlo bene, Ci piazza un prologo bellissimo da sfregamani e poi ci introduce la vicenda, quelle iniziazioni universitarie che rasentano il bullismo, quei veterani contro le matricole, e mette forse alcune delle trovate visive più interessanti proprio in quei momenti - gli studenti appena arrivati che strisciano alla festa è davvero inquietante. Poi parte la sottotrama cannibal e le cose iniziano a complicarsi un attimo.

Qui siamo gente semplice e, se voglio la credibilità, vado a farmi un giro sul corso. Però anche nei contesti meno credibili bisogna mettere qualcosa, un giusto amalgamarsi tra i vari intenti, che non li renda stupidi. Perché il casotto è proprio quello, shockare senza che tutto sembri così stupido, come a una certa sembra accadere.

Sarà quasi sicuramente una questione di sensibilità che io non ho colto - e ci sta, siamo tutti diversi e coi nostri limiti - ma mi pare assurdo credere che esistano università dove si fanno cose simili alla luce del sole e con una tale insistenza, così come che "l'esperimento dell'incidente" possa proseguire indisturbato quando ci sono due vittime di mezzo. O come che due forbici possano creare un simile danno, a patto che non siano quelle di Chef Tony. 

Piccole cose che si sommano col passare dei minuti, facendomi pensare che la regista e sceneggiatrice a una certa non sapesse più nemmeno lei cosa fare per tenere botta fino a un minutaggio adeguato.

E dire che le belle trovate ci sono...

Lei che ha una crisi di astinenza sotto le coperta, un'idea tanto semplice, anche abusata, ma che rende perfettamente lo stato in cui si trova. Il ballo di Justine davanti allo specchio, o l'occhiata in schermo che dà durante una delle ultime feste - anche lì, succede una cosa che poi avrà conseguenze pesanti per un lasso di tempo davvero minimo, o veramente piccolo per l'economia generale. Ma anche quella scena sotto la doccia, del togliersi il colore. Tutte cose che segnano in maniera bellissima questo suo sentirsi inadeguata, questa sua ricerca di qualcosa che la faccia sentire viva.

E' tutto il resto che appare sforzato, atto apposta per stupire, ma non altrettanto lucido negli intenti generali e negli effetti.

E quella scena finale è di una stupidità indicibile...

Ma a tantissimi è piaciuto, forse proprio per queste cose che a me hanno fatto storcere il naso. Forse la verità in questo caso non è tanto cruda, quanto soggettiva, come il sapore dei cibi.








Commenti

  1. Mi è piaciuto sì, ma non l'avevo di certo elevato, diciamo che addenta ma non morde :D

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  2. Affascinato dalla New Wave del genere in Francia, questo è un titolo imperdibile oltretutto una corposa opera prima. Io me ne sono letteralmente innamorato.

    Il finale è messo in stile cinema americano, il classico cliffhanger volto a dare il colpo di mano. Strano che non ti sia piaciuto!

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    1. Giuro, il colpo di scena mi è sembrato messo veramente alla ca...

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