MY HEART CAN'T BEAT UNLESS YOU TELL IT TO, di Jonathan Cuartas

Dwight e Jessie devono prendersi cura del fratello Thomas, affetto da una malattia che lo rende fotosensibile e costringe a ingurgitare sangue... sangue che si procurano con intuibili metodi non ortodossi. Ma il flebile equilibrio di queste non-vite si spezzerà presto.

Tempi dilatati, telecamera fissa, attori dimessi, titolo evocativo e dalla lunghezza anomala, più un senso di claustrofobia opprimente ad ogni sequenza. Poi, dulcis in fundo, un formato 3:4, che anche se totalmente sdoganato dai tamarri rimane un segno perfettamente riconoscibile di queste ultime annate cinematografiche.

Ehi, sei contento di vedermi oppure hai un regista esordiente in tasca?

Jonathan Cuartas è un esordiente e si vede. Ha la cattiveria che solo certi esordi posseggono (vi ricorda nulla Duel?) e delle idee così geniali che rischiano di mangiarsi l'intera pellicola. E anche se sposa in pieno mode e stilemi di tanta cinematografia indie recente, il suo film ha qualcosa in grado di differenziarsi da tutto il resto...

Dura un'ora e mezzo.

Oh, comincio ad avere una certa e questi sono particolari di un certo peso. Non solo cronologico.

Il film ha tutto quello che serve per farmi aumentare la salivazione: vite al limite, soggetti dalla moralità borderline e violenza assortita. Cuartas non rompe mai la cuartas parete, rimane concentrato su quello che racconta e lo fa pure con quattro spicci, all'insegna delle tante idee con pochissimi mezzi. Anche qui, è perfettamente indie.

# Sono così indie che mi piace poverare #

Allora perché non decolla mai?

Se proprio vogliamo trovare un difetto a My heart will go... sì, al film, è proprio quello di avere tutti gli elementi per fare il botto ma di non esoplodere mai, dando solo una piccola fiammella. Cuartas inventa una storia dalle infinite potenzialità ma non le sfrutta, le lascia lì, concentrandosi solo sui suoi perosnaggi.

Un male? Non proprio.

Se volgiamo dirla tutta, il vero colpo di genio sta proprio nell'usare la malattia (con tutte le estremizzazioni del caso, è porfiria) per instillare il dubbio mai espresso del vampirismo, ma trattandolo quasi alla medesima stregua. Chi non ha mai detto di sentirsi succhiato della vita quando deve badare alla malattia di un caro, pur facendolo con tutto l'amore del mondo? Un aspetto sicuramente controverso che poteva dare sale a una storia statica per natura.

Per tutto il resto, rimane estremamente parco di informazioni. Mai sapremo che fine hanno fatto i genitori, se il ragazzo è veramente un vampiro o come ha contratto la malattia. Ci sono solo queste tre vite  e il loro modo di reagire alla sofferenza.

Perché per un Dwight (anche produttore) dal carattere remissivo, c'è anche una Jessie tirannica che non vuole cedere perché baluardo e faro guida di una famiglia allo sfascio, sempre nella concezione, più distorta mano a mano che la storia prosegue, di fare la cosa giusta. C'è un omicidio in particolare che esprime perfettamente il morboso e malato rapporto creatosi, ma come molte cose espresse all'interno del film, rimane solo una scena a sé.

Insomma, passano i minuti e mi sono reso conto che questo film sarebbe stato un ottimo cortometraggio.

E se in novanta minuti ci sono delle scene che si potevano tagliare...

Questo deprimentissimo esordio prende il proprio titolo dalla canzone I am controlled by your love di Helen Smith e già a saperlo si può avere una lettura molto particolare dell'opera, forse la più cristallina. Perché il senso di inadeguatezza, l'incapacità dio pensare a un'altra soluzione, si sente per tutta la durata, tra persone che fanno di tutto per quel ragazzo sfortunato e il desiderio che tutto finisca. 

E finirà, nell'unico modo possibile, con tutti i cerchi che si chiudono e una flebile speranza finale. Nel mezzo passiamo a una vittima suicida come nessun'altra e cause-effetto che potevano essere gestite diversamente. Oltre che una storia che rimane fossilzzata nel proprio nucleo, senza mai dare quella botta emotiva che ci si poteva aspettare. 

Forse è ingiusto aspettarsi di più da un esordiente in palese assenza di mezzi (le inquadrature fisse sono dettate anche da questo) ma credo che certe storie, proprio per il peso di vissuto che si portano dietro, non possano essere lasciate sul trespolo delle emozioni, sfruttando un implicita forza che dovrebbero avere.

Non è un brutto film, sicuramente. Ma non è nemmeno Relic. Gli manca qualcosa, che a tratti non ti sai nemmeno spiegare, ma che sembrava prometterti fin dal claustrofobico inizio.

A me resterà l'odore di occasione in parte mancata, così come lo sguardo di quell'adolescente che avrebbe voluto viversi la vita. E quei non detti che pesano più del film stesso. 






Commenti

  1. Non conoscevo questo film, la storia sembra interessante

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    1. Lo spunto è davvero magnifico. Sulla realizzazione... credo dipenda anche dalla sensibilità di ognuno.

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Ragazzi, mi raccomando, ricordiamoci le buone maniere. E se offendete, fatelo con educazione U.U

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