REPRISE, di Joachim Trier

I giovani amici Philip ed Erik sognano entrambi di diventare scrittori. Decidono così di inviare all'unisono i propri rispettivi romanzi, ma il tappeto rosso della letteratura si stende solo per il primo. La vita però...

Alla scuola di cinema si può venir presi in giro per molti motivi, di solito perché confondi il carrello con quello fuori dai supermarket, ma se fai Trier di cognome un po' ti meriti di essere perculato anche dal bidello della peggio scuola professionale.

Joachim Trier infatti è scappato dalla Danimarca perché continuavano a paragonarlo a quel Lars, e dopo essersi fatto naturalizzare norvegese (alcuni dicono svedese, segno della confusione dettata dalla frustrazione...) ha deciso di iniziare con una Trilogia.

Nemmeno George Lucas era così...

La Trilogia di Oslo, come ogni Trilogia che viene presa sul serio, non lo è nella narrazione ma nelle tematiche, ed è iniziata proprio con questo film, per proseguire con Oslo, 31 august e terminando con La persona peggiore del mondo. Tutti film che io ho visto in ordine rigorosamente sparso, ma... oh, vederli così li rende ancora più intellettuali, secondo il manuale. 

Nel mezzo di questo triello, la X-lesbia e un drammone familiare girato in occidente, ma è in quel 2006 che il nostro mostra di che pasta è fatto - tagliolini norvegesi, mi dicono.

Un film ironico, con la cazzimma giusta che solo gli inizi possono dare, la voglia di prendersi sul serio il giusto ma a che la sfrontatezza di scontrarsi a piena faccia contro il muro. Sono questi gli esordi che mi piacciono, forse abbastanza confusi in certi momenti, ma con la voglia di raccontare. Prima di imborghesirsi, Trier ne aveva a strafottere.

Ad oggi, non si parla di nessuna trilogia prequel...

Già qui si vedono tutte le tematiche che diverranno il punto cardine della narrazione del nostro. La malinconia onnipresente, giovani personaggi che non sanno cosa fare della propria vita, il peso delle scelte intraprese (anche se sul breve periodo) e la ricerca costante del proprio posto del mondo. Tutte queste cose c'erano già in abbondanza in questo film, ovvero la narrazione un po' snob, un po' naif e per contraltare anche parecchio punk (e consapevole) di quel difficile passaggio dalla giovinezza alla scelta di cristallizzare il proprio futuro. 

Proprio perché si è giovani, si mette in mezzo pure l'arte.

La ripresa del titolo non è quella cinematografica, quanto la possibilità di riprendere in mano la propria vita a fronte di tutte le batoste subite e di tutto quello che passa in mezzo, mentre tra gli affanni si sviluppa il senso della maturità. E l'arte, o il rapporto che si ha con essa, fa capolino in più di un modo tra i fiordi.

Cosa è reale? Cosa non lo è?

Trier si gioca il tutto per tutto con quest'opera prima, mettendo in mezzo anche le semplici fantasie e aspettative dei due soggetti e specificando anche quale sia il modo sano per rapportarsi con la propria indole artistica. Quella che può farti esprimere, ma portarti alla rovina. 

Che può essere distruttiva, perché spinta da un malessere interiore, ma anche viatico di una vita infelice perché non del tutto ancorata ad essa. Meglio quindi essere dei mediocri di talento o dei portenti distruttivi? Gioacchino la piazza un po' lì, cade in un paio di facilonerie e si gioca un personaggio fittizio a cui non è possibile non voler bene. Nel mezzo, anche un paio di momenti morti, delle banalità e qualche fighettume.

Insomma, raga, è l'esordio di un trentenne!

Proprio perché è un esordio però - e ignorando il fatto che il nonno fosse un regista sperimentale e il padre un tecnico del suono... - fa impressione la padronanza di Trier, delle immagini, del ritmo, del montaggio, o della semplice capacità di riuscire a creare del bello con situazioni ordinarie e mezzi alla portata della chiunque.

Il talento si vede soprattutto lì.

Ma anche nel vedere come dramma, risate e vaga ironia sappiano convivere, senza mai abbandonare quella malinconia che è il marchio di fabbrica del suo cinema, quasi a sottolineare quanto siamo tutti in balia del caso, dell'incertezza e della nostra immaturità, anche di fronte alla previsione più rosea. Forse la fantasia, l'arte, è l'unico modo in cui è possibile avere un controllo. Ce lo suggerirà con un conto alla rovescia che porterà a compimento forse l'unica cosa prestabilita, la fine del film stesso.

Una sboronata che ci si può permettere solo agli esordi. 

Le ombre di una nuova alba aspetteranno i nostri personaggi per motivi che sanno ma ignorano. A noi resta un primo e arrogantissimo film che merita di essere riscoperto all'età giusta, e anche più tardi, giusto per darci quella spinta che invecchiando finiscono col perdere tutti.

Comunque, l'amico che si fece l'anno all'estero in Scandinavia non mi parlò di tutti quei festini...






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