CHALLENGERS, di Luca Guadagnino
Davvero, sono serio.
Ha uno stile riconoscibile, attento alle evoluzioni stilistiche del cinema più recente e svecchiato, sia in termini di resa visiva che di montaggio, dalla muffa ereditata dai polverosi Anni Zero - ritenuti il periodo buio della nostra settima arte. Non è una pura casualità il successo estero, segno di una narrazione che va oltre il proverbiale orto di casa.
Il problema è che i suoi film fanno schifo.
Di base potremmo dire che sono tutti estetica e distintivo, ma poi hanno anche (sempre per me) la pretestuosità di raccontarti la vita, facendolo perlopiù male e dando voce a dei soggetti ben al di là della comune esistenza della stragrande maggioranza degli abitanti di questo pianeta in termini pecuniari - ma quello verso i ricconi è un mio personalissimo bias.
Soprattutto, trovo che spogliandolo della sua ricercatissima (e magnifica) estetica, il cinema di Guadagnino riesca a dire quello che vuole solo in maniera didascalica, riducendo la bellezza a un fine senza renderla viatico per un discorso molto più ampio, in modo da portare l'immagine e dare un senso altro a quello che rappresenta. E i resti di tutti i discorsi intrapresi durante i minuti di visione, alla fine, si riducano a un pensierino da Bacio Perugina.
Qui si avvale dello script di Justin Kuritzkes, un autore teatrale divenuto precedentemente famoso per dei video scemi quando andava bene e cringe quando girava male, ma che si è fatto valere nei teatri universitari per poi avere una propria tournee a New York e che con questo film, entra nel giro degli scrittori che contano.
Qua vanno specificate diverse cose, perché non avendo visto le piece di Kuritzkes non posso esprimermi, ma c'è un fattore culturale da non sottovalutare quando si parla di narrativa, in special modo per il grande schermo: è americano. E sappiamo che in Europa siamo leggermente più smaliziati, almeno in campo artistico, rispetto alla controparte che esporta democrazia nel mondo. Il risultato quindi è qualcosa di decisamente pruriginoso ma che può essere bellamente battuto dalla più casta home di PornHub. Non serve quindi smenarla all'infinito col triello tra Zendaya e i due smarmittoni della racchetta, se il film si ferma unicamente a quello.
Davvero questa pellicola dovrebbe usare lo sport come metafora dell'attacco e della competizione (anche sessuale) mettendo alla berlina quelle che sono le comuni convinzioni circa i legami di coppia?
Perché per quanto il film provi a dire la sua e a creare un minimo intreccio interessante, anche giocando coi piani temporali, alla fine siamo dalle parti dall'annalisiamo "ho visto lei che bacia lui", condendo con delle allusioni omoerotiche che però rimangono solo in superficie a sollazzare il pubblico più generalista. A tratti abusano di metafore tanto grossolane da far sembrare Almodovar un esempio di finezza; ma dove lo spagnolo aveva in qualche modo sovvertito un sistema anzitempo, provocando sfacciatamente una Spagna conservatrice, qui Guadagnino del sistema fa allegramente parte perché è proprio quello che il pubblico si aspetta, ma una versione annacquata perché sta nei limiti che ci si aspettano. Questa è l'idea che dobbiamo avere di un grande film?
Guadagnino in realtà ce la mette tutta e, va ammesso, in questo marasma di pochezza contenitiva trova tutti gli escamotage possibili per rendere un minimo interessante uno script tanto idiota. Riprese effettuate da sotto il pavimento o, e qui mi levo il cappello, dal POV della pallina da tennis, l'italiano mette in scena delle idee di regia che ne dimostrano il talento e che, estrapolate dal contesto, sarebbero delle prove eccellenti già da sé.
Rimane (purtroppo) tutto il resto.
Apoteosi di un mondo di ricchi nei suoi momenti peggiori, incentivo allo sterminio armato quando partono i dialoghi. E che stessero tutti sul 𐌊ᚨᛉᛉᛟ non credo fosse propriamente voluto dagli autori, ma è l'unico sentimento che questi personaggi insopportabili, fintamente caratterizzati e vuoti hanno saputo trasmettermi dall'alto delle loro racchette.
Nella gara a chi è più antipatico, hanno sicuramente vinto. Ma per dire cosa, alla fine...?
Ma Guadagnino continua a piacere al pubblico e alla critica che conta, ha collaborato ancora con Justin Kuritzkes per il veneziano Queer e gode del suo status di artista. Io invece lo trovavo ben più coerente quando girava i video per Paola e Chiara.
Che non è una presa per i fondelli, è che davvero, per quello che ne è seguito, lo preferisco di gran lunga lì.
Credevo mi avrebbe fatto schifo, invece mi ci sono divertita come una matta, anche se a tratti è ridicolo da morire. O forse proprio per questo.
RispondiEliminaIl problema è che non mi è sembrato volesse essere ridicolo... 😅
Elimina