STEPPENWOLF, di Adilkhan Yerzhanov
Steppenwolf infatti, nonostante il titolo richiami esplicitamente il capolavoro di Herman Hesse, è quanto di più vicino possa esserci alla penna del texano.
Come tra le pagine di McCarthy, in questo film troveremo una violenza esagerata, a tratti poco sostenibile, mista a uno sprezzo per la vita umana che si dimostrerà antitesi di questo mood. Sarebbe però inesatto riassumere tutto come una storia di vendetta a là John Wick, come è stato promosso, perché vorrebbe dire non fare i conti con tempi dilatati, come di chi non ha fretta di arrivare al succo della faccenda, insieme a un costante occhio sul paesaggio desolante dove i personaggi sono costretti a muoversi.
L'opera del kazako Adilkhan Yerzhanov potrebbe collocarsi nel marasma di emuli di Mad Max, e l'influsso del lavoro di Miller si vede enormemente, ma ha la capacità di discostarsi anche dalle proprie figure di riferimento, entrando in un campo inclassificabile nonostante le ispirazioni siano palesi ed evidenti.
Non ho visto a Born to be wild Steppenwolf come a una vera e propria storia, quanto a un immergersi nel putridume del mondo con un salvagente mezzo sgonfio.
La pietà aleggia lontana da questi territori. Ogni svolta di trama è portata da un fatto violento, le uccisioni si sprecano e, pur non essendoci un feticismo per la truculenza (che non mancherà, facendo però il proprio ingresso sempre a "debita distanza"), si ha la perenne sensazioni di sporco, accentuata da una fotografia volutamente piallante che tende a eliminare ogni parvenza di profondità, come a dire che il mondo in cui ci muoviamo non ne possiede alcuna.
C'è solo questa insolita elargizione di soccorso, forse l'unico cenno di bontà in un mondo che l'ha dimenticata, ma pure essa è un vago pretesto per portare avanti la sviolinata di pallottole che ne seguirà. Aiuto, tra l'altro, dato a una donna con un qualche ritardo, o resa tale da un passato violento... particolare mai del tutto chiarito, che fa la spola in mezzo a tanti altri elementi sibillini.
Elementi sibillini che viaggiano in sovrabbondanza. E mi spiace dirlo, forse è stata questa ricchezza non richiesta che non me l'ha fatto amare come successo a molti altri.
Posto, ovviamente, che si tratta di un film molto bello.
Non solo per una mia innegabile zona di comfort in tutti i suoi elementi, ma perché al di là del gusto personale, ci troviamo davanti a una pellicola solida nella sua complessità, esplicita e coerente con le intenzioni artistiche del proprio autore. Eppure, la chiarezza non è giunta in automatico in tutte le sue parti, e non ho saputo se incolpare me stesso, che non sono famoso per essere il più sveglio della cucciolata, oppure delle effettive mancanze.
Ci sono numerose soluzioni di regia a cui è stata tolta ogni possibile forma di pathos, passaggi tanto repentini da avere quasi dei gap narrativi e una direzione degli attori abbastanza snervante a forza di stranezze, caratterizzazioni al limite e situazioni macchiettistiche, dove la sintesi di quella prima scena che dà forma anche al poster metteva già in chiaro tutto, senza dilungarsi troppo in siparietti volutamente grottesche o in una violenza che alla lunga diventa solo ripetitiva.
La sua anima western si manifesta all'inizio, cominciando come Sentieri selvaggi e prosegue al pari di un jidaigeki, portando avanti la dualità della coppia di protagonisti, dove l'uno finirà silentemente per riversarsi nell'altro, arrivando a una non-storia di non-redenzione, sensi di colpa e scoperta del proprio ego violento. Un film muscolare dove però il muscolo non è mai sovraesposto e la linearità non sempre ripaga, specie davanti a scelte stilistiche non convenzionali che lasciano più dubbi che altro, restando tra il *CLAMOROSO* e il più democristiano «non saprei».
La sua bellezza però sta anche qua, nel piazzarsi in quella zona di mezzo per poi crescerti dentro nel tempo, stando sempre in un'area indefinita dell'animo e non sbilanciandosi mai neppure nelle preferenze, al netto del suo Premio del Pubblico vinto all'ultimo TOHorror Fantastic Film Fest. Forse questa, in un film così freddo e atipico, è la cosa più umana che ci si può aspettare, mentre le vite perse al suo interno camminano costantemente.
Il romanzo di Hesse, tra l'altro citato esplicitamente con degli stralci, metteva in guardia verso il nazionalismo e il riarmo, oltre a dare, tra le mille letture, una dualità tra l'uomo sociale e la sua parte animale, lontana dai crismi accettabili dal comune pudore e morale.
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