QUELLO CHE NON SO DI LEI, di Roman Polański

Delphine Dayrieux ha scritto un libro sul tormentato rapporto avuto con la madre, diventato presto un bestseller. Fama, successo, autografi e delle lettere minacciose che l'accusano di aver lucrato sulla propria tragedia familiare però le causano un blocco creativo dal quale non riesce a uscire. Fino a che non incontra Lei, giovane intrigante ammiratrice che...

Ogni autore che si rispetti ha i propri feticci, le tematiche che gli stanno a cuore e nelle quali non è un caso si ritrovi a incappare sovente, come a ritornare in luoghi rassicuranti in cui sa di potersi muovere a proprio agio. Palese che l'identità, il dubbio e il disturbo siano i temi cardine di Roman Polański, così come il lato oscuro dell'anima ma anche il conflitto interiore, che sembrano smuovere gran parte delle sue pellicole, anche quelle meno riuscite.

Meno frequente, ma ugualmente significativo, è anche la creazione.

Basti pensare a titoli come L'uomo nell'ombra, Venere in pelliccia o, se guardiamo la pura materia libraria, anche La nona porta. E siccome il creare porta con sé anche la formazione di una nuova realtà, la dimensione in cui si muovono la storia e i suoi personaggi, è facile comprendere come quello dell'identità, con tutti i suoi associati, sia il tema principale di tutta la produzione polanskiana.

Ma d'altronde, ogni storia non gira intorno alla domanda "Chi sono io?"

Al suo ventiduesimo film, il maestro polacco decide di adattare il romanzo D'après une histoire vraie di Delphine de Vigan, autrice che aveva messo in quelle pagine, oltre a una protagonista col suo stesso nome, molto del proprio vissuto - anche lei scrisse a proposito del travagliato rapporto con la madre e ricevette lettere di minaccia - creando quello che è il primo sfalsamento della realtà. Al quale poi Polański metterà del suo, ovviamente.

Va detto che non tutti possono brillare una carriera intera e arriva l'inevitabile momento in cui si inizia a splendere di luce riflessa - non tirate in ballo Kubrick, dinamiche e numeri molti diversi. Ed è anche un po' il caso di questo film, sicuramente non uno dei titoli seminali nella carriera del regista, ma comunque un lavoro di classe e stile che solo chi ha saputo guadagnarsi la nomea di maestro può permettersi. Spetta un po' a noi scegliere se stare a questo compromesso oppure no - anche se un compromesso che comprende Eva Green non può essere malvagio.

Il twist narrativo lo si capisce già dal trailer, basta avere un paio di neuroni funzionanti o aver visto e letto quanto basta, ma non è sul colpo di scena che Polański mira. Da sempre, lui è un creatore di atmosfere (basti pensare che in Rosemary's baby, con un paio di trucchi, il fattaccio viene detto chiaramente e subito) ed è su quelle che ha sempre spinto il suo cinema da Répulsion in poi, sulla capacità di suscitare il disagio nello spettatore attraverso le immagini, le luci e tutto quanto.

E l'atmosfera qui è attua a mostrare la dualità tra una persona e la versione migliore di sé che vorrebbe essere, prendendo quell'universale "Chi sono io?" e volgendolo in una prospettiva meno insolita di quello che vorrebbe essere, ma comunque intrigante quanto basta per mantenere accesa l'attenzione, anche quando la Green non domina la scena. Quella messa in scena è una silenziosa battaglia mentale che porta alla realizzazione del processo creativo, dove non ci sono vincitori, ma solo demoni da scardinare per poter fare uscire quello che serve per ottenere il lavoro definitivo.

Certo, forse c'era da aspettarsi una trama un po' più articolata. Vero, alcuni dialoghi sembrano gestiti con eccessiva semplicità. Sicuramente ritornare agli stilemi di un cinema che si è amato fa piacere, ma per quanto si tratti di un ottimo lavoro di tecnica ed eleganza, resta sempre la vaga sensazione che manchi qualcosa, e non per sottigliezze che non si sono riuscite a cogliere, ma quasi come dovessimo immaginare un luogo vedendo una cartolina. 

E no, da un maestro, uno che si è meritato più volte questo appellativo, ci si aspetta qualcosa di più. Anche il non fare nulla o l'accettare che il tempo è passato, forse, ma questo spetta a gente ben più qualificata di me dirlo.

O forse, sarebbe sciocco pure pretendere di essere stupiti ancora...

Sapete però cosa pretendo per Polański da un bel po' di tempo, al di là della riuscita dei suoi film? 

Il gabbio.

Senza nulla togliere, eh, maestro.







Commenti

  1. Sono d'accordo, di classe e stile ma non sorprendente, si poteva fare di più.

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    1. Soprattutto se capisci già dal trailer come finisce...

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  2. Però un film di Polanski con la Green si guarda a prescindere. Quindi anche se non l'ho ancora fatto, così come non sono riuscita ancora a vedere il suo ultimo film, lo farò sicuramente quanto prima.

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