HAPPINESS, di Todd Solondz


Il ritratto disincantato e sarcastico di una famiglia borghese. Dei genitori in procinto di divorziare dopo quarant'anni e tre sorelle disastrate, una è la moglie di uno psicologo scopertosi pedofilo, un'altra è una scrittrice in crisi e l'ultima una trentenne che non riesce a combinare nulla. Nel mezzo, dei comprimari messi quasi peggio, se possibile...


Se pensate che fare gli sceneggiatori sia tutto pizza e fichi, forse non avete mai sentito parlare della blacklist. Purtroppo non si tratta di un pezzo degli Exodus, ma di una fantomatica lista nera (ma davvero?) che racchiude tutte quelle sceneggiature dalle quali i produttori vogliono tenersi alla larga perché ritenute scomode o, ancora peggio, troppo torbide da portare sullo schermo. E dati temi come la pedofilia senza pentimento, la masturbazione perenne e ogni tipo di disagio immaginabile, mi viene proprio da chiedermi come mai questo Happiness ci sia finito dentro...

Gira addirittura voce che diversi attori di peso rifiutarono la parte per paura di eventuali ritorsioni dagli studios. Poi una volta finito collezionò premi ai festival più snob di tutti e, visto che ci recita pure il fu Philipp Seymour Hoffman, non mi pare che poi gli sia andata proprio malissimo - almeno, per la carriera.

D'altronde Todd Solondz è un tipetto un po' così, uno a cui piace provocare ma che lo fa con solide fondamenta. Perché per quanto questo non sia un film che consiglierei a chiunque a cuor leggero, è innegabile che sotto lo sporco ci siano intenti limpidi e una chiara visione del mondo, per quanto filtrata attraverso il filtro deformante della satira e dell'eccesso di cui questo regista e sceneggiatore sembra essersi fatto portavoce a tutto tondo.

Ma anche di un certo realismo. Che non è tanto il cinismo un tanto al chilo che fa sempre figo, ma quella capacità di vedere il marcio e di dargli comunque una ragion d'essere, mostrandolo attraverso quella che è la tanto decantata normalità.

Non c'è un solo personaggio di questo film che si salva. Nessuno. Solondz, che non deve essere proprio un allegrone (o almeno, uno di quello che fa battute alle quali nessuno ride, come quelle del film d'altronde), ritrae la classica famiglia borghese e benestante americana, mettendola in mezzo a tutte le possibili contraddizioni esistenti, soprattutto sviscerando quello che è il vissuto delle tre figlie, diverse fra loro ma accomunate da un'unico destino.

Perché se da una parte abbiamo la mogliettina apparentemente felice e la rampante scrittrice in carriera, a dare il giusto peso alla bilancia c'è anche la ragazza con velleità musicali che sembra non riuscire a combinare nulla, tanto innocente a vedersi ma, come ci dimostra quel prologo agghiacciante nella sua staticità, non molto diversa da quelle spuzzettine delle sorelle.

"Io non amo nessuno", dice il padre di tutte loro alla moglie verso metà film, quando lei gli chiede chi può essere la donna per cui vuole lasciarla.

Se possibile, il senso del film sta tutto in quella frase.

Sono convinto che ogni storia, alla fine, parli di persone che vogliono essere amate, ma che devono fare il conto con un mondo che questo tanto decantato amore lo nega. E' capire questo che fa di un autore un bravo autore, perché credo che si debba riuscire a dare una forma a questo desiderio e ritagliarlo nel contesto in cui si vuole immettere la propria storia. Ed è così che Solondz non mette in scena solo una serie di perversione per soddisfare un gusto sadico degli spettatori, ma proprio per fare un'analisi spietata e senza sconti di una società che ormai sembra essere votata al puro nichilismo e al totale ignorare gli altri, in primo luogo se stessi.

Fare un film simile in America, un paese che nonostante tutto è molto puritano e vede ancora la famiglia come un ruolo cardine, vuol dire avere coraggio. Soprattutto perché non la si vede come luogo o aggregato di salvezza, ma proprio come un vero coacervo di tutte le cattiverie e infelicità possibili.

Non è un film che punta sull'aspetto visivo, ma il marcio e il disagio che riesce a creare con la sola atmosfera è palpabile, anche se le singole situazioni bastano di per sé. E quel brindisi finale, alla felicità, quella felicità che tutti sanno non esserci pur ignorando la cosa, farà molto male. Ma male tanto.

La felicità però arriverà nella maniera più scorretta e impensabile, ma anche la più sincera, forse per questo che disgusterà tutti i presenti a cui verrà annunciata, troppo ingabbiati nella loro prigione di preconcetti per accorgersene, fautori e vittime del loro stesso ipocrita male. 






Commenti

  1. Quindi ci stai dicendo che l'happiness del titolo la troveremo solo quando sto film sarà finito?!? 🙊

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    1. Ma neppure dopo 😂 visione molto "dura", più che altro...

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