SYNECDOCHE, NEW YORK, di Charlie Kaufman




Caden Cotard è un regista teatrale, ipocondriaco e dalla vita conflittuale, che a seguito della vincita di un premio ottiene un finanziamento illimitato per allestire l'opera dei suoi sogni. Ma dopo un incidente domestico, realtà, vissuto e proiezioni finiranno per confondersi...


Parlare di Charlie Kaufman, per me, è come parlar di Dio, se non meglio. Anche perché a Kaufman tutto quello che ha fatto è venuto bene, il suo Esimio Collega invece ha da dare diverse spiegazioni, come diceva Woody Allen. Fatto sta che dopo essere diventato il guru della sceneggiatura con Essere John Malkovich, Human nature, Il ladro di orchidee, Confessioni di una mente pericolosa e il celeberrimo Se mi lasci ti cancello, nel 2008 riuscì a spostarsi dietro la macchina da presa e a sfornare il suo primo film da autore completo. Il risultato è stato Synecdoche, New York.

Per quanto mi riguarda, questo sarebbe un film da studiare nelle scuole, ma siccome siamo in un paese piuttosto bizzarro da noi è arrivato con sei anni di ritardo, a causa dell'eco della morte di Philippe Seymour Hoffman, l'attore protagonista - un mostro di bravura, qui come al solito.

Cosa si può dire di un film simile che non sia già stato detto nel sottobosco di appassionati, dove è ampiamente circolato? Poco, credo. Anche perché questa pellicola è stata la prova di come il ruolo di sceneggiatore sia stato davvero stretto a Kaufman e di come fosse stato tenuto "sotto controllo" dagli altri registi, perché qui ha davvero modo di esplodere come vorrebbe. E sembra incredibile come i film precedenti, già assurdi di loro, siano stati solo un assaggio di quello che ci stava aspettando.

Kaufman in questo film riversa tutte le sue idee, non solo di cinema ma anche della vita, creando una narrazione che non segue nessuno schema convenzionale ma che ne crea uno proprio, partendo da un incidente domestico (nessuno mi toglierà dalla testa che quel pezzo di lavandino che colpisce Caden in fronte non porti alla genesi di tutto...) e procedendo con una narrazione dove cronologia, scenografia e tutto il resto si mischiano in qualcosa che potrà apparire confuso ma del quale l'autore ha il totale controllo.

Il risultato è quello di un film che potrà confondere i più e che farà venire idee totalmente diverse a tutti gli altri - non per nulla, in rete ci sono mille e passa ipotesi in merito.

Ma cos'è una sineddoche?

Stando all'Enciclopedia Treccani si tratta di un "procedimento linguistico espressivo che consiste nel trasferimento di significato da una parola a un'altra in base a una relazione di contiguità intesa come maggiore o minore estensione ". E sta tutto qui.

Kaufman al suo esordio parla della vita, lo fa a suo modo, a attraverso il gioco della rappresentazione teatrale, con questo set che si ingrandisce sempre di più, la converge nel processo inverso. Caden prova a riassumerla tutta lì, non comprendendo più dove inizi la finzione dove finisca la realtà, vedendo questo set assumere dimensioni sempre più grandi e la sua età avanzare, mentre tutto ciò che ha attraversato si disgrega e assume connotati sempre più estranei alla sua dimensione.

In questo gioco pirandelliano, il buon Charlie prova a riassumere un intero vissuto facendo sfoggio di tutto il suo immaginario senza freni e lasciando lo spettatore libero di ogni possibile interpretazione. Perché non tutto è chiaro in maniera subitanea, certe cose rimangono oscure, e cambiando il senso di una anche molte altre assumono un significato diverso a ogni visione.

Semplicemente, la vita va vissuta e sentita. Non c'è opera d'arte che la può sostituire.

Synecdoche, New York è, in mezzo a ogni possibile interpretazione, proprio l'epitaffio finale, il saluto della vita davanti a tutto l'amore che non si è saputo dare, le occasioni che non si sono colte e la vacuità di ogni cosa vissuta, mentre il tempo scorre e implacabile mette fine a ogni cosa. Ci regala un film che brulica di vita - a modo suo - ma che lascia anche un sensazione di impossibilità, con un finale stupendo che raramente si potrà eguagliare per tristezza e, anche per questo, dimenticare con facilità.





Commenti

  1. Non mi è piaciuto molto, ho apprezzato invece parecchio Anomalisa di Kaufman ;)

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    1. Eh, è così particolare che o lo si ama o lo si odia... Io mi ci sono immerso.

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  2. Ai tempi mi era piaciuto un botto, ma anche l'ultimo di Kaufman mi ha ipnotizzato ;-) Cheers

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    1. Quindi mi confermi che quanto scritto nel primo paragrafo è vero 🤓🥰

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  3. Lo guarderei solo per il finale tristissimo, però mi preoccupa arrivarci non so se fa al caso mio. Magari farò un tentativo! 🤔

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    1. Richiede un certo sforzo, non lo nascondo, ma è probabile ti si apra un mondo a fine visione.
      Prova prima coi lavori in cui era solo sceneggiatore, magari 🙃

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