HIS HOUSE, di Remi Weeks


Rial e Bol sono scappati dal Sudan per emigrare in UK, ma durante il viaggio hanno perso loro figlia. Da un centro di accoglienza vengono messi in una casa, dove dovranno seguire delle regole per poter dire di essersi integrati nella comunità inglese. Ma la casa sembra essere invasa da spiriti che...

L'horror deve spaventare, questa è cosa certa. Ma quello che separa un horror da un ottimo horror è quando lo spavento non è fine a sé stesso, ma veicolo per riflessioni ben più profonde. Poe, che non è il Teletubbies rosso ma il buon Edgar Allan, coi suoi racconti del terrore indagò le angosce dell'animo umano in maniera prima di allora impensabile - e con uno stile sublime, aggiungerei. Non è nemmeno un caso che molta mitologia horror sia stata adottata anche dal punk, per dire, perché la politica non è esclusa.

His house capisce per bene la cosa. Sembra ridicolo che un film con questo titolo esca proprio nell'anno in cui ci siamo ritrovati chiusi in casa, ma prima che le questioni sanitarie divenissero trend topic, qual era il tema di cui si appropriava ogni buon influencer della politica?

Se avete detto l'immigrazione, avete vinto una caramella.

Netflix - lo giuro, la piattaforma non mi sta pagando, e nemmeno il piddì - dopo The devil all the time firma il secondo colpaccio distribuendo l'esordio di Remi Weeks, regista di colore che per il suo sverginamento cinematografico sceglie un horror. A suo modo, uno dei titoli cardine di questo strambo 2020.

Fare le pulci a un esordio non mi piace  mai, per quanto pure qui di cose da dire contro ce ne siano, ma il messaggio alla base non è solo umanamente corretto, ma anche ritratto in una maniera coraggiosa e che ben poco ha a che fare con un certo buonismo (parola molto cara ai nostri amici sovranisti) stucchevole. Anzi, quello lo rifugge a priori, mettendo in campo delle scelte coraggiose e davvero poco scontate che, proprio nella sua natura di esordio... beh... tanto di cappello Weeks, hai avuto coraggio, sensibilità e competenza.

Parlare di un tema così scottante è facile, farlo decentemente un po' meno, soprattutto per quello che riguarda la costruzione dei due personaggi. Perché fare gli emarginati buoni e perennemente osteggiati sarebbe stato fin troppo ovvio, ma creare individui con delle identità ben distinte, con le loro fragilità e coi giustificabili fantasmi del passato, quello è tutto un altro paio di maniche,

Weeks riesce a mettere in scena tutte le ipocrisie di un sistema, dove chi di dovere si lamenta come due emarginati abbiano avuto "una casa più grande della mia", così come riesce a mostrare le diverse reazioni degli stessi. Perché se Bol fa di tutto per essere accettato da quel nuovo mondo, Rial è ancora ancorata al proprio. Se lui prova a farsi un taglio alla moda e a vestirsi come vede in un cartellone, lei avrà sempre quell'attaccamento alla propria lingua ("Non usare il dialetto!") e ai suoi vestiti, finendo per perdersi in una città di cemento che non riesce ad accettare, così come ad essere accettata da chi sembra così simile a lei.

Poi c'è la casa. Una casa in un quartiere degradato, usata come latrina dai passanti e dove i vicini li guardano con sospetto. Stranieri in una casa che, sulla carta, deve essere loro. Ma è proprio in quella casa che iniziano a succedere le cose.

Remi Weeks ha visto i film giusti e sa come si costruisce la tensione. Crea un paio di situazioni efficaci che, però, alla lunga finiscono un po' per ripetersi, specie quando abbiamo ben capito che la casa è infestata. Ci regala due scene di fulciana memoria da spellarsi le mani dagli applausi, ma rischia di creare un cortocircuito nella parte centrale fatto di ripetizioni e situazioni di stallo che non portano avanti la storia.

E la risoluzione...

Tematicamente, His house è un film che ha tutto. L'emarginazione e un senso di colpa sfaccettato, che ci verrà rivelato con un colpo di scena bellissimo che ribalta i protagonisti, senza condannarli, ma facendo vedere la disperazione che può passare chi si è trovato nella loro situazione. Ma è la parte paranormale che scricchiola un poco.

Perché quando tutto è suggerito (la scena del falò... Maronn 'u Carmine che bella!) diventa bellissima, ma quando si palesa diventa una mezza merda. E quel mostro finale, al netto di tutte le simbologie che compiono i gesti che seguiranno, diciamolo chiaramente, è quasi ridicola.

Ma ha senso. Tutto quello che succede, anche se sacrificato a un semplicismo che mal si sposa con la stratificazione del tutto, ha una sua perfetta coerenza tematica. E quel his del titolo avrà tutto un altro significato.

Resteranno solo loro due.

E la casa.

E tutta la consapevolezza di quello che hanno passato, senza però rinnegarlo. E senza rinnegare loro stessi in quel nuovo cammino, si spera, che potrà portare loro la felicità tanto agognata. In un mondo non migliore, ma più possibile.





Commenti

  1. Il colpo di scena è davvero molto bello e, nel mio caso almeno, realmente inaspettato, oltre al fatto che dà un senso tutto nuovo al "messaggio" che questo film di genere porta con sè, cancellando tutti i dubbi su retoricismo e buonismo che potevano essere sorti fino ad allora.

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    1. Infatti. Una cosa simile compensa tutti i difetti - per certi versi perdonabilissimi, visto che si tratta di un esordio.

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  2. Un esordio che mi ha conquistato.
    Bello e inatteso.

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