SZABADESÉS - FREE FALL, di György Pálfi

Giunta sul tetto della propria palazzina, una vecchietta si butta, decisa a farla finita. Dopo l'atterraggio però risulta incolume, e decide di riprovarci salendo a piedi tutti i piani. A ogni piano, vedremo le bizzarre vicende che si consumano all'interno.

Se ti piace un certo genere di cose, quelle che tutto sommato ti vergogni ad ammettere anche se non dovresti e che forse non dovresti nominare a un eventuale primo appuntamento - insomma, tutte quelle robette che qui sono più che benvenute - dopo un film come Taxidermia puoi ritenerti soddisfatto. Che già ad averlo realizzato puoi cominciare a credere nei miracoli, ma dopo la tua capacità di produrre assurdità può dirsi perfettamente sazia e appagata.

Non per György Pálfi, che si fa in sei, regalandoci sei piccoli film nel film.

Si tratta poi di una coproduzione tra Francia, Ungheria e Corea del Sud, il che non deve stupire, perché dove c'è il disagio i coreani ci si buttano a capofitto come se niente fosse. Anzi, credo che qui non abbiano neppure avuto bisogno del traduttore, comunicavano direttamente per osmosi.

Szabadesés (salute!), per pietà chiamato anche conosciuto pure col titolo internazionale di Free fall, è un progetto che viene dopo lo sperimentalismo quasi didascalico di Final cut e che come sempre porta la firma del regista Pàlfi e della compagna Zsofia Ruttkay. Insomma, due allegroni, non c'è che dire. Qui c'è anche un'interessante diatriba sulle relazioni che mi fa sperare che i due intraprendano una terapia di coppia il prima possibile...

Fa strano vedere questo film. 

Fa strano perché dopo il titolo più famoso di Pálfi sembra quasi incredibile che quello stramboide trovi ancora cosa da dire, soprattutto contando che non usa i sistemi più semplici, e che lo faccia stupendo sempre, riuscendo a creare un crescendo e abbracciando nel contempo più stili, senza mai perdere il filo del discorso.

Si capisce già quale sia il fil rouge - o piros cérna - della pellicola, lo esplica fin da subito la vecchina che si butta dall'ultimo piano. Quello che l'ungherese vuole mostrare sono tutti gli stadi dell'insoddisfazione, del suo personale decadimento della società e dei suoi malesseri, che non stanno in luoghi esotici o di estrema perdizione, ma tra le semplici mura domestiche di un condominio come tanti.

Ed è così che vediamo la coppia che è fissata con la pulizia dai batteri (oddio... vista ora, un po' li capisco), una lezione di yoga sui generis, uno studio ginecologico da incubo, degli invitati fuori luogo a un party borghese, una relazione aperta trattata come una sitcom e per finire in quel piano-stalla...

Tante situazioni, tante facce della stessa medaglia che conducono a un'unica soluzione, quella finale, con quell'animale gigantesco che nessuno vede.

Che ci crediate o meno, è facile fare gli alternativi a tutti i costi. Più difficile è dare senso di esistere a tutto il proprio immaginario per far vedere come possa descrivere meglio di altri il presente, le sue ipocrisie e le sue fobie. 

Pálfi ce a fa e la cosa ancora più irritante è che per lui tutto sembra così naturale, non solo nell'essere assurdo con coerenza, ma anche nel trattare il tutto con diverse sfumature, perché Free fall non è solo un film strambo, ma è anche una pellicola a episodi dove ognuno di essi è trattato con uno stile ben definito - non per nulla, l'episodio coreano è una vera e propria mini-sitcom.

Ma è nell'ultimo che si vede il meglio.

Lì Pálfi mette il freno a mano. Basta stupire, lo ha fatto a sufficienza. Perché deve ribadire quanto detto fino a quel punti con tecnica e contenuto. E lo fa usando tutto quello che io cinema può offrire, usando il sonoro nella maniera definitiva e dandoti solo all'ultimo la sensazione della sua presenza, perché accompagna le immagini con una tale perfezione che le si possono addirittura sentire come un loro peso.

Ed è proprio di un peso che si tratta.

Così come quello della vecchina che cade, è un peso l'incomunicabilità. Lo stesso peso che può portarti ad avere una fobia per l'esterno, il peso che ti fa scorgere in maniera fedifraga qualcuno tra la folla di invitati, il peso stesso che ti fa rifiutare la vita stessa o gioire del successo altrui. O a buttarti dall'ultimo piano di una palazzina, anche. E' un episodio tanto perfetto che non serve nemmeno la traduzione perché i dialoghi stessi girano a vuoto. Parlano, parlano, ma nessuno vede il bovino in mezzo alla stanza, che guarda stanco lo svolgersi. 

Sette storie disperate che finiscono così come sono iniziate, con quel tentativo di fuga che sembra non esserci mai. Sotto il peso del non detto, della paura e del normale vivere.

Perché il film sarà assurdo e incontrollabile, ma la vita lo è molto di più.

Spaventa proprio per questo...









Commenti

  1. Interessante, mi attira il bizzarro, comunque a prima vista mi pare una fusione de Il condominio dei cuori infranti e Mr Ove.

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    1. Nulla di più lontano, almeno nelle intenzioni... 🤣😅

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