NABOER - NEXT DOOR, di Pål Sletaune
Il solo dubbio rimane questo: ma i suoi amici della palestra, dicono che è un gym pål?
Ok, la smetto...
Valutare un film come questo Naboer (letteralmente: il vicino) è abbastanza strano, perché ci sono diversi aspetti da considerare, che sono la dimestichezza che si ha col genere e quello che si vuole esattamente da un film.
A questo, aggiungiamo che Sletaune aveva rifiutato la regia del dramma americano perché considerava la sceneggiatura "mal strutturata" e ci viene subito chiamo che alla famiglia Burnham avrebbe sicuramente preferito quella di Solondz, il che ci porta a uno dei punti in questione.
Naboer fa parte del filone del thriller psicologico di ispirazione hitchcockiana, anche se si allontana da emulazione alla de Palma per andare su lidi più grezzi, sporchi, che dall'ispirazione primaria mantengono solo uno spiraglio. E' un film piccolo, letteralmente girato tra quattro mura - facciamo otto - che punta tutto sull'ambientazione e su quello che gli attori riescono a trasmettere. E sono tutti molto bravi, tanto che fa pura una comparsata quello del primo Uomini che odiano le donne.
Si parla di riuscire ad andare oltre ma anche di psicologie deviate (ed ecco perché mi aveva incuriosito...) giocando sul doppio fornito dai due appartamenti e sulle rivelazioni che vengono fatte mano a mano che il minutaggio procede.
Beh, qui iniziano anche i primi problemi...
Sarò onesto, da che Shyamalan ha giocato a fare il brillante a tutti i costi, ogni thriller del nuovo millennio ha dovuto confrontarsi con l'eredità di quell'hipster ante litteram, dovendo cercare di stupire a tutti i costi con trovate che riuscissero a sovvertire le iniziali convinzioni dello spettatore, ignorando che l'indianone però era riuscito a rendere tutto così bello grazie all'amore che riusciva a infonder enei suoi personaggi - davvero, credo che nessuno come il buon Manoj sia innamorato delle proprie creature. Qui scordatevelo, abbiamo a che fare con un film freddo come le terre da cui proviene, cosa che non è per forza un male, ma che porta da sé una sorta di allontanamento da quello che vuole esprimere.
Il secondo è proprio che puntare troppo su un colpo di scena attuo a ribaltare il punto di vista iniziale rende tutto ancora più difficile, perché le illogicità risaltano come non mai e ogni inquadratura sbagliata da sassolino si trasforma in macigno. E qui ce ne sono diverse, non per forza brutte o fuori posto, ma che alla luce di quanto detto alla fine si fanno illogiche e non si capisce perché il regista abbia voluto spostare l'attenzione proprio su quello.
Abbiamo il passato di una mente che lo manipola a proprio piacimento per superare un trauma, abbiamo la vera natura che viene fuori e il doppio consolidato non solo tra le due versioni (quella che ci viene accennata e quella che realmente è avvenuta) ma anche quello dell'appartamento... tutte cose che possono venir perfettamente intuite fon da subito dallo spettatore più navigato, perché, diciamolo pire, Naboer non offre nulla di nuovo e non lo sviluppa in maniera particolarmente innovativa.
Basta a renderlo un film non valido?
Certo che no, complice anche una durata risicata (oh, comincio ad avere una certa e i mattoni da due ore e mezza li sopporto poco, ultimamente) inferiore ai novanta minuti dice tutto quello che deve con poche lungaggini e un ritmo sempre costante, senza tempio morti che potevano benissimo essere evitati, e punta tutto sulle ambientazioni claustrofobiche e la complicità degli attori.
E diciamolo, Cecilie Mosli e Julia Scahct sono due che da sole ti fanno il film, con quel fascino malato e quelle facce da Eva Green dei poveri che cojn sto film ce stanno come la nutella sul panbauletto.
Quindi andate in fred, ma senza aspettarvi il miracolo che non avverrà. Solo un vago malessere verso la fine, a enigma risolto.
Me l'hai venduto sì, ma non ti dico il perché, immaginalo :D
RispondiEliminaA mia discolpa... era uno dei pochi screencaps a risoluzione decente 😇
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