MARTIN EDEN, di Pietro Marcello

Martin Eden è un giovane marinaio napoletano che, in un periodo storico imprecisato, decide di diventare scrittore per conquistare l'amore di una bella ragazza borghese, affrontando le difficoltà mostrare dalla propria estrazione sociale, dalla divisione di classe e vedendo nascere le prime forze politiche proletarie, che...

Per quanto me piaccia er trucido, il grottesco e tutte quelle cose "da uomo vissuto malato", più o meno le stesse che a raccontarle danno al tuo interlocutore l'idea che forse non sarai mai il babysitter ideale per la sua cuginetta, due sono gli scrittori che occupano un posto speciale nel mio cuore: John Steinbeck e Jack London. Due autori che hanno ritratto la vita per quello che è, senza troppe metafore o sofismi, ma con un'asciutta eleganza che solo i veri grandi possono permettersi. In tutto questo, senza rinunciare alla loro americanità, ma diventando dei fieri portabandiera di un movimento letterario che stava nascendo in seno a un paese che da sempre non ha mai avuto la bussola coordinata.

Bene, a 'sto giro prendono proprio un romanzo di London (americano, ricordo, nonostante il cognome, che tra l'altro non era nemmeno quello del vero padre) e lo trasportano nella Napoli del dopoguerra.

Si, avete letto bene. Napoli.

Ora, come ripeto sempre, io sono un grande fan delle libere interpretazioni. Anzi, in realtà le adoro, e se non mi sono incazzato per un Constantine interpretato da Keanu Reeves posso dirmi scevro da ogni pregiudizio. Certo, mi rendo conto però che quando mi toccano er core posso essere preda dei più bassi istinti, ma anche qui, andiamo avanti e vediamo di capirci qualcosa...

Autore di questo guazzabuglio è tal Pietro Marcello, fiero documentarista campano, che nella trasposizione del classicone di London compie un mezzo guazzabugio. E non è neppure nello spostare il tutto a Napoli eh, anzi, quella forse è la parte che potrebbe dare più interesse e che costituirebbe un iter meta-narrativo notevole, come a significar che tutto il mondo alla fine sia sia paese. Il problema invece è tutto il resto, che in virtù di sto casino assurdo appare incomprensibile, fuori posto massimo e con un gap logico che non ha il benché minimo senso.

Diciamolo pure, poi, quando girò questo film Marcello aveva poco più di quarant'anni ma combina un film che è proprio vecchio dentro. Il guardaroba di Eden probabilmente è più giovanile, e ti chiedi spesso come mai imitare la resa delle diapositive se poi alla fine quello è l'unico trucco che sai concederti in un film che procede stancamente, noiosamente e con quei guizzi documentaristici che non riesci ad abbandonarti ma che messi così a caso danno solo l'idea del cinema parrocchiale delle vacanze.

Sfora pure le due ore di durata, e alla fine mi è venuto da pensare che se avessimo tagliato tutti quei primi piani ad cazzum dei pescatori sorridenti ripresi alla cinema verité con tanto di musica melodica sotto avremmo potuto guadagnarci qualche minuto in meno e una maggiore snellezza - o approfondire meglio altro. Invece no, si persiste su una strada tortuosa che non lascia prigionieri e, finché la palpebra regge, mette a nudo un'operazione di reinterpretazione tanto pretenziosa quanto inutile.

Compare pure la Francini a un pinto, per non farci mancare nulla...

Martin Eden (film) si poggia tutto sull'interpretazione di Marinelli, che davvero, al di là dei film a cui si presta rimane sempre una garanzia (da lacrime il suo discorso quando vinse la Coppa Volpi), ma pecca vergognosamente su tutto il resto, andando avanti a step e proponendo dei siparietti che fuori da quanto già presente nel libro (e opportunatamente riadattato) risulta debole, fiacco, già visto e senza una propria identità, proprio questo film che in tutte le maniere prova a crearsene una.

L'Eden del romanzo - al netto di tutte le ipotesi autobiografiche che London mise in quel personaggio - alla fine era una persona che nel raggiungere il successo tradiva sé stesso. Qui avviene lo stesso ma a essere tradita è proprio la fonte stessa, non solo per la propria natura di trasposizione, creando tutti quei cortocircuiti che la fedeltà e la libera interpretazione creano quando non sono ben coordinate.

Abbiamo in entrambi i casi un ricongiungimento col mare, l'unica casa che un marinaio possa avere, ma dove in una si trova la bellezza di una storia, nell'altra si ha lo stanco artificio portato avanti e che poggia sul nulla.

Forse, anche nella loro semplicità, certe opere sono destinate a essere narrate da una sola voce. Oppure il tradimento deve portare con sé molto altro, tutto quello che qui manca.






Commenti

  1. Non ci crederai, pur vergognandomi un po' sono uscita di sala durante la proiezione, annoiata a morte e dopo una giornata di lavoro, pensavo di non aver colto la "grandezza" del film.....mi rincuora sentire il tuo parere e aver rivissuto le stesse sensazioni leggendo....👍
    Non ci deve per forza piacere tutto al di là dei premi.
    Buona giornata!

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  2. Io, invece, ovviamente, amato tantissimo. Per me tra i migliori della sua annata. Mi sono innamorato di Martin.

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    1. Io, a parte un Marinelli sempre bravissimo, lo zero assoluto...

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  3. Ammazza, e pensa che a me non mi è dispiaciuto, seppur ogni tanto mi sono annoiato..

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  4. Qui non sono d'accordo.
    A me il film è piaciuto molto, lo vidi alla Mostra di Venezia e ricordo che alla fine partì un grande applauso... lo trovo un film affascinante e coraggioso, che destruttura svariati generi cinematografici arrivando a una sintesi originalissima. Marcello prende un romanzo classico e ne fa un film universale, comprensibile a tutte le latitudini, ambientandolo in una Napoli senza tempo, in un periodo storico indefinito, a significare che quanto si vede nel film fa parte della natura umana e della storia del mondo. Ho apprezzato molto anche la colonna sonora: la canzone iniziale ("Piccerè" - di Daniele Pace) è stata per mesi nella mia playlist.

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    1. Indefinito non molto :/ i movimenti politici lo caratterizzano bene. Il senso che dici mi è arrivato, ma molto male, personalmente...

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