LO SCIAME, di Just Philippot

Virginie, giovane vedova con due figli a carico, per salvare la famiglia dalla bancarotta si mette ad allevare locuste per convertirle in alimenti e farine proteiche. Le cose all'inizio non vanno bene e le bestiacce non proliferano come la donna vorrebbe... finché scopre che sono ghiotte di sangue e che l'emoglobina le fa crescere meglio di qualunque altro alimento.

Non tutti lo sapranno, alcuni invece  lo ricordano con una vaga nostalgia, ma i francesi agli inizi degli Anni Zero si erano fatti notare per una ventata horror che aveva fatto fare sogni molto bagnati a molti cinefili. Cosa sia successo poi in tati hanno provato a spiegarselo, ma ogni tanto i nostri amiconi d'oltralpe ci riprovano e mettono sul piatto qualche pellicola che dovrebbe ritornare a quei fasti sanguinolenti. 

A questo giro tocca all'esordiente Just Philippot, che a causa del Covid in just n'attino vede la propria opera prima messa in stand by e acquistata da Netflix, dopo essere passata per Cannes.

Va detto che la piattaforma negli ultimi periodi ci aveva abituati fin troppo bene, ma dopo aver assoldato tutti quei registi che in un modo o nell'altro avevano dei progetti in sand by che non partivano, ha fatto molto salvinianamente (ugh... scusate, i conati) finire la pacchia per darsi a produzioni originali che sul versante filmico hanno lasciato parecchio a desiderare.

Guarda il caso, proprio dopo Snyder.

Coincidenze?

Resta il fatto che questo film era guardato con una certa circospezione da molti, non solo per la sosta festivaliera, ma anche per questo soggetto decisamente atipico, quasi respingente per il pubblico medio di un certo horror, ma anche per tutti quelli che si aspettavano un film più canonico. Locuste, ambientazioni quasi da ranch... insomma, non certo una pellicola che ci si aspetta sbandierata ai quattro venti, nevvero?

Invece è approdata in pompa magna proprio sulla più mainstream delle piattaforme, raccogliendo pareri misti e anche una certa dose di perplessità. Anche per il fatto di essere un film totalmente a sé, dato che la santa matrona si è occupata solo della distribuzione, acquistando un prodotto già finito a cui mancava solo di essere restituito al mondo. Tutto quello che si vede quindi è uscito dalla mente e dagli occhi di Philippot, che pare non aver avuto nessuna restrizione dall'alto, se non dal budget disponibile.

I francesi hanno sempre avuto un nonsoché di horror nelle vene, e da tizi che vanno pazzi per il formaggio puzzolente io non mi aspetterei altro, onestamente, Questa inflessione di è vista anche nei registi più insospettabili - tipo Ozon - e continua a circolare sottopelle anche se i fasti di inizio millennio non si sono più visti. Si tratta di un horror molto più cerebrale, tanto per rifarci allo snobismo e andare di stereotipi, di cui questo film abbraccia i canoni in diverse maniere, usando il pretesto della storia d'orrore per raccontare un ricongiungimento familiare.

E fa male un po' entrambe le cose, onestamente.

Per carità, il ragazzo è intelligente e si applica pure molto, ma ci sono diverse cose che lasciano parecchio perplessi, a cominciare dalla scelta della protagonista. L'Expo 2015 ci ha fatto conoscere le abitudini culinarie più inusuali, ma mi chiedo davvero con che coraggio, specie se si è sulla bancarotta, si possa decidere di buttare tutti i propri risparmi in un allevamento così... particolare, diciamo, e come possa esercitarsi una qualsiasi empatia verso un personaggio che si butta contro i mulini a vento. L'assurdo è qualcosa di bellissimo, ma bisogna saperlo usare bene e mettere in un contesto adeguato.

Così come le vicende familiari, nobilissime e con uno sviluppo anche interessante, non fosse che coinvolgono attivamente solo metà della prole, tanto che di uno devono disfarsene per manifesta inutilità.

Ma è la morbosità che manca, caratteristica peculiare di ogni horror, e l'efferatezza nel mostrare quanto a fondo Virginie riesca a spingersi in questa sua follia. Perché Lo sciame parla anche di questo, dell'ossessione, di un qualcosa che va ben oltre le motivazioni iniziali e che assume proporzioni che sfuggono al controllo della protagonista, così ansiosa di ampliare il proprio dominio insettoide da sfociare nel macabro anche fuori dalla serra. 

Anche se a rimetterci saranno "solo" delle bestie e due tizi di cui, a livello di spettatori, ce ne frega davvero ben poco - ma poi, ste bestie attaccano solo a targhe alterne?

Philippot riesce a realizzare un film tutto sommato compatto e dove ogni cosa viene messa al posto giusto, ma si sente che manca qualcosa e che l'asticella poteva essere spinta ben oltre il limite che si è auto-imposto, dando veramente al film, e al suo senso, vero senso di esistere.

Ma poi, sono io, oppure è naturale che vista la provenienza d'oltralpe potevano fare lo stesso con le lumache?







Commenti

  1. Mentre aspetto il film sulle lumache, spero di riuscire a finire questo, rimasto a metà sul mio paginone di Netflix, e non mi stava nemmeno dispiacendo troppo, ora di arrivare alla fine! ;-) Cheers

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    1. Fino a metà va anche benino... il problema è che non decolla mai 😕

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