THE DEVIL'S CANDY, di Sean Byrne


La famiglia Hellman, dove il padre artista e figlia condividono la passione per l'heavy metal, si trasferisce in una nuova casa. Peccato che diverso tempo prima la moglie del vecchio proprietario sia morte in circostanze piuttosto sospette e, ancora più mannaggia, il fu marito è ancora a piede libero e ha le chiavi. Senza contare che sembra parlare e agire per conto di uno spirito maligno...

Dopo il successo locale e il benestare della critica (globale) di The loved ones, Sean Byrne lascia la sua bella Australia per trasferirsi negli USA. Dalla terra dei canguri a quella del McDonald's. Qui gli danno qualche dindo in più per realizzare la sua seconda fatica, sempre un horror, questo The devil's candy che qui da noi non ebbe tanta fortuna ma che, sempre a livello di critica, si fece volere un gran bene. 

Questa sua seconda fatica però ci toglie un grande dubbio: Sean Byrne è metallaro e quindi qui da noi è accolto a braccia aperte.

D'altronde già il suo primo film suggeriva una ricerca musicale accurata, qui invece si concentra solo sul sano metal e allora è una gioia per le orecchie, dato che il protagonista è il padre che tutti avremmo voluto avere. Ma soprattutto, Byrne è un metallaro che sa fare le cose come si deve e qui lo dimostra, forte anche di un budget contenuto ma più sostanzioso e delle maestranze a stellestrice. Quello che è più importante però è che passa da quello che è visto da molti come il lato oscuro della forza cinematografica senza però snaturare sé stesso.

Molto facile da una parte...

Byrne non è uno di quei registi interessati molto a doppitesti, metaforoni o profonde analisi critiche. I suoi film, finora, sono sempre stati poco più e poco meno di quello che mostrano sullo schermo. Anzi, gioia e pena del suo esordio è stato proprio questo, perché si sentiva che ci sarebbe stata l'opportunità di un maggior approfondimento, ma da una parte quasi meglio così perché sarebbe risultata una forzatura nelle intenzioni originarie della pellicola. Qui è più o meno la stessa cosa, ma andiamo per gradi.

The devil's candy è un horror puro, che più classico di così non si può. Abbiamo la famigliola, le difficoltà, l'apparente forza soprannaturale che prenderà possesso di un individuo fondamentalmente buono e il nemico originario che porterà a uno speciale percorso di redenzione del nostro, onde riallacciare un rapporto con la figlia che nel corso del film è andato degenerando. Tutte cose viste, riviste e straviste, quasi inscritte nel genere, che però Byrne riesce a trattare benissimo, dimostrando di aver imparato la lezione e di averci messo pure un poco di suo.

Perché sono tutti bravi a fare un buon lavoro quando hanno i soldi che vogliono, molto più difficile è mantenere intatta la propria anima nera, pur avendo tutte le limitazioni che lavorare in America comporta a livelli di resa visiva della violenza.

Abbandona il torture porn e il cinema degli eccessi per darci un horror di possessione cupo, molto cupo, che gioca molto con il senso di sporco e il macabro, suggerendo e peggio cose senza mostrare ma usando saggiamente il montaggio e la regia. C'è una scena shockante, un montaggio alternato tra la realizzazione di un dipinto e la mutilazione di un bambino, dove della violenza non si vede pressoché nulla, ma l'alternanza del sangue che scorre e delle pennellate crea un gioco visivo che disturba più di tanta altra violenza grafica - che lui sapeva già gestire con estrema classe - mostrata in modo gratuito e a volte quasi ininfluente. Ecco, questa è una cosa che solo "quelli bravi" possono fare. Scontato aggiungere quindi che Byrne lo sia.

Anche l'atmosfera gioca un ruolo principale, perché una simile cura per le luci, i contrasti cromatici e tutto il resto non si vede spesso nell'horror, genere che purtroppo nelle stagioni estive soffre per un terribile sovraccumulo, per questo The devil's candy pur non dicendo nulla di nuovo ed essendo spudoratamente poco più di quello che mostra, appare come una ventata d'aria fresca che riesci a goderti in maniera piuttosto gustosa.

Per il resto, la storia di un padre che vuole dimostrare alla figlia che le vuole bene, Forse non avrà la stessa potenza di A quiet place (quel "Ti voglio bene" ancora oggi mi mette il magone) e soffre di una scena finale non resa al meglio (le fiamme computerizzate... i miei bellissimi occhi!), ma tutto torna.

E soprattutto, dura poco.

Dice quello che vuole in poco tempo, senza dilungarsi troppo creando pipponi assurdi di due ore e mezza. Ora che ho trent'anni, è una qualità che comincio ad apprezzare e pure molto.

Poi sui titoli di coda abbiamo For whom the bell tolls. Non so voi, ma ho visto cose concludersi in maniera decisamente peggiore.






Commenti

  1. Entro a piccoli, piccolissimi passi nel mondo dell'horror che non deve essere troppo.... horror 😨, se becco il DVD , può essere...😃

    Però amante del metal come pare, devo assolutamente consigliarti un film visto al TFF nel 2018, che ancora ricordo con un sorriso e che mi ha divertita molto: "Heavy trip" storia di una band finlandese, film tenero e grottesco, assolutamente da vedere! 👋👋👋

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    1. Grazie del consiglio, vedo che le musiche sono state composte dal bassista degli Stratovarius 😍🤩
      E per l'horror solo tanto amore ❤ è un mondo che ha tanto da dare.

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    2. Nel caso, aspetto la recensione 👍

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  2. Devo ancora vedere il suo primo, comunque questo non mi dispiacque anche se mi deluse un po', diciamo che si poteva fare meglio.

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    1. Di più sicuramente, ma va riconosciuta l'onestà di intenti e la bontà della fattura.
      - wah, sembro quasi serio a parlare così.

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