CALVAIRE, di Fabrice du Welz

Marc vivacchia facendo il cantante alle sagre, nelle case di riposo e nei piccoli centri. Un giorno, durante una trasferta, il suo furgoncino va in panne in uno sperduto paesino immerso nella nebbia. Lo accoglie un uomo burbero, un comico che ha perso l'umorismo dopo l'abbandono "dell'adorata" moglie, e che in Marc rivede proprio...

Nel parlare di carriere iniziate col botto, non possiamo non pronunciare il nome di Fabrice du Welz, allegro (?) mattacchione che nel 2004 diede un bel colpo di reni al Fetsival di Cannes proprio con questo film, una 619 di pura potenza effettuata dalle corde della kermesse che, quando c'è da shockare, tira fuori di quelle chicche a dir poco assurde.

Che poi proseguendo abbia pure dovuto fare delle cose su commissione è un altro discorso. Per ora, godiamoci questo delirio da puro #cinemadeglieccessi. 

Mai smetterò mai di ringraziare du Welz e non solo perché ci ha dato un film degli eccessi, e di quelli (belli o brutti che siano) non ne avrei mai abbastanza, ma anche perché concedendosi alle peggio cose non si è risparmiato nemmeno la zoofilia. Ecco, avete presente quindi quei tizi insopportabili che la smenano continuamente su quanto gli animali siano meglio delle persone? Ecco, finalmente avete il film giusto da consigliare loro.

Per la precisione, abbiamo un rapporto con un vitello.

Calvaire non si concede spoglio a nessun pudore nel mettere in scena il peggio dello scibile umano e, diciamolo senza tanti problemi, ha solo avuto la sfortuna di uscire nel 2004 e non ai giorni nostri. E se è vero che chi prima arriva meglio alloggia su diverse questioni, anche essere troppo avanti per i propri tempi non sempre porta fortuna. Anzi, credo che se fosse uscito ai giorni nostri, dopo tutte le battaglie per l'identificazione sessuale fatte, avrebbe fatto furore. 

Perché alla fine parla proprio di questo, di maschilismo e di come viene visto il ruolo della donna - e di riflesso anche quello dell'uomo - in una società che è stata patriarcale fino allo sfinimento nel proprio midollo.

I segni del maschilismo ci sono tutti e in maniera veramente sottile. Non solo tutto il delirio gravita intorno alla figura di una donna scappata (non si fa molta fatica a capire il perché) ma soprattutto quella è stata l'unico elemento femminile presente nel paesino di pazzi in cui il nostro capita. Già questo è un particolare molto inquietante.

Ancora di più lo è il fatto che Marc - oltre a non essere proprio il massimo della simpatia - sia anche un personaggio con una parte femminile moto spiccata sulla quale riverseranno tutti, in una specie di allucinazione collettiva, le proprie fantasie e depravazioni, che un tempo erano toccate alla sventurata della quale aleggia solo il nome. Sono due sottigliezze che spiccano in mezzo a tutto il fango e la merda che du Welz, anche molto furbescamente ci spiattella davanti senza ritegno, ma che chiudono un cerchio preciso e rigorosissimo da cui poi nascerà tutto il resto del disagio.

Egli diventa la spiegazione del titolo, affronta il suo personale calvario come un novello Cristo (non per nulla verrà crocifisso) in quanto riconosciuto come elemento debole della società, un oggetto conteso da tutti gli abitanti del villaggio e che con gli stessi aveva addirittura qualche conto in sospeso.

Il tutto, da parte di un uomo che fa intuire una sessualità "ambigua" e che viene scambiato per una donna da una folla di trogloditi.

Appurato che qui Luca Morisi può solo prendere appunti, du Welz procede spedito, alzando sempre l'asticella mano a mano che i minuti scorrono. Ma non si concede, se non per delle breve incursioni, allo splatter. Il suo è un film sì violento e che non lascia nulla all'immaginazione - e dopo la scena del vitello vorrei vedere... - ma che lavora in modo altrettanto meticoloso sull'atmosfera, sull'uso di quei colori spenti dei quali la nebbia è solo un apripista per la confusione mentale generale e il senso di disagio che alberga in ogni inquadratura.

Ci sono dettagli tecnici notevoli, come la scena dell'investigazione nella macchina, ma è proprio il disagio che prende e non porta più indietro. Quel favorire le inquadratura storte per raddrizzarle solo quando la violenza viene compiuta, quel giocare continuamente con l'assurdo e il grottesco, fino alla bellissima scena della sequenza danzerina che, diamine!, a distanza di anni sarà impossibile da dimenticare.

Un rape and revenge (anche qua, la Fargeat arrivò solo al moment giusto) dove la vendetta è totalmente assente a favore di una vittima totale, che in quel finale ai limiti dell'ambiguità troverà la vera incarnazione cristologica, fino al raggiungimenti del vero senso di calvario. Ma sarà veramente così, "solo" questo?

Calvaire è un film che opera su molti livelli e pure in quello scambio di sguardi finale ci saranno molti significati, per chi li vorrà vedere.

Una bomba che in altre mani avrebbe solo fatto diventare l'ennesimo Richard Kelly di turno, ma che qua ci regala uno degli esordi più bombati di sempre e una poetica dell'assurdo pronta a sbocciare.

C'è solo voluto un vitello di mezzo, ma ok.






Commenti

  1. L'ho odiato abbastanza, infatti in una vecchia recensione sul blog ero stata spietata.

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  2. A me pareva na scrofa più che un vitello-:)

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    1. È un allusione sessuale ahaha!!!
      C’hai ragione😂🤣
      Comunque a me il film è piaciuto molto.
      L’ho trovato molto teatrale .
      Cioè molto girato in interni con colori rosso dominanti per poi esplodere nella parte finale con esterni intriganti , la neve ..quel Cristo crocifisso che lui vede quando sta scappando.
      Per me è un film sull’abbandono .
      La paura di essere lasciati .
      Infatti lui nella scena finale mentre il suo aguzzino sta morendo si finge la donna che lo aveva lasciato e gli dice di amarlo .
      Per farlo morire contento.
      Ciao

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    2. È ANCHE un film sull'abbandono, preceduto poi dal peggio berciume possibile. Quella scena - bellissima - completa il discorso cristologico sul calvario del titolo.
      I toni grotteschi da teatro dell'assurdo poi sono la ciliegina sulla torta, impossibile non amarli.

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    3. Ma sai che è…il marciume e tutto quello che dici te ci sono sicuramente ma almeno per me a volte riescono ad essere affossati dalla bellezza di certe scene e dalla poesia che ne può nascere.

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    4. Ovvio. Lo diceva anche il Sommo da cos'è che nascono i fiori 😬🙃

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