MANIAC, di Franck Khalfoun

Frank lavora in un negozio di restauro e abbellimento di manichini, ma di notte diventa un serial killer che la lo scalpo a giovani donne, che pedina o adesca sui siti di dating. Tutto questo è il triste lascito di una psicosi dovuta ai maltrattamenti subìti da piccolo da parte della lasciva madre. Un giorno però la giovane fotografa Anna si interessa ai suoi manichini, e...

Lo so, viene naturale un po' a tutti dare contro ai remake. Pure a me, eh. D'altronde, specie in un periodo revivalista come questo, ne abbiamo tutti la straminchia un po' piena di cose che o sono derivative o sono il rifacimento di qualcosa già esistente. Ma la storia del cinema ci insegna che maestri come Caropenter e Cronenberg hanno avuto alcuni dei loro successi proprio attraverso il remake.  

Per dire, iniziò con un remake pure Zack Snyd...

Ok, esempio sbagliato, però il succo non cambia.

Gli affari poi diventano uccelli per diabetici quando si mettono mani ai classiconi, e Maniac, per quanto qui da noi non sia mai esploso se non tra le file degli appassionati che da piccoli mettevano i Kellog's nella soda caustica, è un film di culto anche per tutta la storia produttiva che si porta dietro.

A far dormire incubi tranquilli operò doveva esserci la presenza proprio di Luatig tra i produttori, accanto al quale però si era messo tal Alexandre Aja.

Ecco, su di lui vanno dette due parole, perché sembra che dopo averci preso per i fondelli tutti facendoci credere che con il solo film che gli sia riuscito (quel Haute tension che ancora oggi fa scuola) sia stato l'enfant terrible che tutti aspettavamo, poi ha disilluso tutti e la chiunque diventando il fratello scemo di re Mida, al che faccio tirare a indovinare in cosa si trasformi tutto quello che tocca.

Da bravo markettaro poi volle mettere tal Franck Khalfoun (salute!) alla regia, trattasi del suo pupillo preferito di cui produsse un esordio che ricevette critiche piuttosto discordanti.

Poi oh, c'è EWlijah Wood, che dopo Il Signore degli Anelli ha preso gusto a far parte degli horror più strambi che esistano ed eccolo qui, a vestire i panni che furono di Spinell.

Ed ecco qua forse le cose che possono più "disturbare" in un film simile, che lo rendono a syuo modo un prodotto molto affascinante ma al contempo profondamente sbagliato e fuori tempo massimo...

Parlavamo della vicenda produttiva di Maniac, che ne ha decretato un certo look "alla buona" , volendo essere generosi, ma che anche oggi dona quel tocco in più per una storia che di degrado parla. Ecco, il 2012 non è proprio il 1980. Abbiamo l'accaddì e attori troppo belli per poter infondere il senso di schifo e disgusto necessari - seriamente, le sue vittime sono quasi tutte delle mezze fotomodelle - e il nostro Frodo è comunque Mister Universo rispetto al buonanima di Spinell. Questo è un aspetto che non si può ignorare e che dimostra come spesso l'anno di realizzazione inficia su quello che si vuole raccontare o realizzare.

Gli Anni Ottanta stavano salutando un nichilismo sfrenato che lasciava rovine ai propri margini, il recente abbandono degli Anni Zero invece portava all'individualismo più totale che oggi possiamo vedere. Da qui, forse, il colpo do genio...

Che il mondo sia una merda lo sappiamo e lo diciamo sempre, spesso a vuoto. Così Khalfoun decide di portarci proprio dentro lo sguardo del protagonista, girando un film quasi interamente in soggettiva, per farci vedere questo stercaio sconfinato con gli occhi di chi i lerciume lo vive 24h. Una scelta rischiosa che poteva essere fatale, oltre che foriera per giustificare diverse mancanze, ma che per tutto il film ha un controllo rigoroso e sempre ponderato.

Ecco quindi che differenze apparentemente insormontabili come quelle già enunciate passano improvvisamente in secondo piano e, quasi, diventano una specie di anticipazione involontaria di quello che sarà il mondo a venire.

Sono stati molto criticati i momenti in cui la soggettiva viene meno, ma secondo me sono ben pensati per un semplice motivo: è nell'uccisione che Frank si sente libero, così come il regista stesso è libero di non sottostare più a quell'auto-limite che si è imposto. Come a vedere un quadro prima per un particolare, e poi nella sua interezza. 

Certo, la sceneggiatura non brilla - nemmeno quella originale, in realtà - e si delinea meglio il passato con la madre, con dei trucchi tanto semplici quanto efficaci, così come tutto il resto, per un film che è un viaggio forse non richiesto in una mente disastrata e pronta alla fine.

La prova che Elijha Wood purtroppo non è mai utilizzato al proprio meglio, perché qui dà una prova davvero formidabile - purtroppo da noi passata inosservata come il precursore. Un piccolo film che a suo modo suo fa ricordare.

Certo, dipende anche come...







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