THE MENU, di Mark Mylod

Il cuoco esperto di cucina molecolare Julian Slowik organizza in un'isola senza copertura telefonica un costosissimo ed esclusivo evento gastronomico, con un clientela selezionatissima. Ben presto però tutti si accorgono che qualcosa non va come dovrebbe e...

Ci pensate a quanto debba essere malmostoso uscire al cinema oggi? Che ben venga la possibilità di informarsi, di ampliare i propri orizzonti e quant'altro, ma spesso ci si ritrova davanti o al nulla cosmico oppure a delle merde pippate d'artista tali che, spesso, viene da domandarsi cosa possano aggiungere o come possano comprendere la mia vita di persona semplice che il lunedì deve alzarsi alle sei e mezza per timbrare il cartellino.

Certe volte sento davvero la mancanza di un bel film, una pellicola che abbia sì qualcosa da dire, ma che arrivi dritta la punto con coerenza e non si perda in troiai vari.

Detto ciò... a che genere appartiene The menu?

Dal trailer mi aspettavo un horror - con un deragliamento di trama abbastanza scontato, tra l'altro, che dopo Battle Royale so' boni tutti - e in effetti a tratti lo è, anche se è più vicino al thriller, perché quello che tiene in piedi la vicenda è la tensione, non la paura, o il richiamo a ciò che dovrebbe terrorizzarci. Si ride, inaspettatamente anche parecchio, ma non è una commedia, perché non parte da una selvaoscuriana vicenda tragica che si risolve prontamente, e non è il far ridere quello che il film ha nei propri intenti. Le risate ci sono di contorno, più sul filone della black comedy, tra l'altro, ma sono una conseguenza di certe dinamiche anziché una causa.

Dovendo scegliere, credo appartenga al genere grottesco, tipologia di film molto più diffusa di quello che si possa pensare e che al proprio interno racchiude tutto lo scibile possibile, che io adoro proprio per questo. Col grottesco puoi inquietare e far ridere allo stesso tempo. Il bello è che i due estremi non sono mai da soli, ma si accompagnano. 

Non stupisce quindi di trovare Adam McKay tra i produttori. Il regista di Vice e Don't look up in origine voleva coinvolgere nel progetto Alexander Payne (autore di Sideways, uno dei miei film del cuore) ed Emma Stone, ma i due poco prima della pandemia dovettero rinunciare per impegni già firmati, lasciando il campo a Mark Mylod e alla regina del cinema alternativo moderno Anya Taylor-Joy.

Scopro solo ora che Mylod è il regista di Ali G e la cosa mi sembra il vero miracolo di tutto il film.

E si ritorna quindi alla questione iniziale. Sì, uscire oggi, tra gente che (giustamente) vuole sempre di più, teorie deliranti su quello che dev'essere l'arte e via dicendo, insomma, in un mondo che volge verso gli estremi, si dimentica anche il piacere delle semplici cose ben fatte. The menu parla (anche) di questo, attraverso uno script molto più intelligente di quello che può sembrare e con delle metafore mai troppo grossolane che non prendono il sopravvento sulla vicenda - di fatto, una metafora di per sé, ma che usa l'innesto anche per criticare quanto semplicemente mostrato.

Perché c'è sì la critica verso il mondo della cucina (che ho apprezzato, odiando con tutto me stesso Masterchef e affini) e un certo nazismo che aleggia in quel mondo, ma la suddetta satira può estendersi a tutto tondo sul mondo della creazione tout court. Se la cucina è arte che si trasformerà in merda nelle nostre viscere, molto spesso il cinema verrà dimenticato da un pubblico disattento, che mangia a tutto spiano senza gustare mai quello che vede o che vuole ingurgitare altro solo per sentirsi intelligente.

E certo cinema è un piatto stilisticamente servito on maniera instagrammabile, dove però mangi pochissimo. 

The menu volge interamente su questi costrutti e assiomi, prende in giro sé stesso, il cinema in generale e addirittura chi lo sta guardando. Un cortocircuito di meccanismi e leve per incularsi da solo e uscirne comunque vincitore - con tanto di battuta sulla chiusura dei ristoranti durante il Covid, forse l'aspetto più inquietante da sentire in tutta la vicenda, per certi versi.

Certo, non tutto regge proprio alla perfezione. C'è una parentesi piuttosto sottolineata all'inizio che si perde lungo il film e la devozione dei cuochi rimane un elemento sì efficace, ma alla lunga caricaturale - senza contare che potevano spingere su un particolare culinario davvero estremo, ma non lo fanno. Rimane però un film che non ti aspetti e che, proprio per la sua particolare intelligenza e il non altrettanto brillante stato della nostra distribuzione, vedere sui nostri schermi è già un miracolo di per sé. 

E se le facce della Taylor-Joy e di Fiennes garantiscono biglietti staccati, sono anche quanto di più impagabile possa esistere, sia per recitazione che semplice estetica.

Senza voler scomodare Buñuel e i sui deliri, The menu rimane una feroce critica ai nostri tempi e alle nostre personalità, ma anche al cinema e a tutto quello che riguarda l'avere un pubblico, fatta con un'attenzione al dettaglio micidiale, un ritmo grandioso - da tempo non mi capitava di rimanere incollato allo schermo senza distrazioni - e l'ironia tipica delle persone intelligenti.

Insomma, quello che ogni cosa dovrebbe avere, per certi versi, ma che risulta quasi miracolosa di fronte a un piattume onnipresente.

Spesso basta davvero poco per portare a casa il risultato in maniera egregia.







Commenti

  1. Molto carino, non originalissimo ma neanche banale. Una buona satira sulla deriva consumistica della società attuale. Gradevole e con un gran ritmo, condivido assolutamente. Ne parlo domani ma sono d'accordo in toto con quello che hai scritto

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    1. Mi fa piacere 😬 spero abbia il giusto risalto, come è stato lanciato può essere un punto di forza ma anche un proverbiale bastone tra le ruote...

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  2. Mi è piaciuto, forse non adorato come te, perché un po' più di horror sarebbe stato nelle mie corde e il dolce alla fine, toglie qualcosa alla satira molto pungente dell'inizio. In generale però ho gradito la mangiata ea che il tuo post Genius, ne parlo dalle mie parti domani,quindi ho potuto leggerti tranquillo ;-) Cheers

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    1. Già, forse non affonda le zanne come dovrebbe fino in fondo, ma offre dei prelibati bocconcini.
      Cheers 🍻

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  3. Commedia nera e cucina hanno una lunga storia di passione, mai sentito parlare di Peter Greenaway?

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    1. Ovvio che sì XD tra l'altro, lui si spinge dove qui non osano :3

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