GALVESTON, di Mélanie Laurent

Roy è un criminale di New Orleans a cui da poco è stata diagnosticata una malattia ai polmoni. Il suo boss, divenuto il compagno dell'ex fiamma, organizza un colpo per sbarazzarsi di lui, ma Roy ne esce miracolosamente illeso e si imbatte nella prostituta-ragazzina Rocky. Insieme i due...

Sapete cosa hanno in comune Clint Eastwood e Ben Affleck? Che il primo ha due espressioni, con e senza cappello, l'altro idem, ma con e senza maschera di Batman.

Entrambi però hanno dato il loro meglio dietro la macchina da presa, divenendo delle firme ben riconoscibili che ci hanno regalato delle pellicole memorabili - Affleck poi sta a Dennis Lehane come Frank Darabont sta a Stephen King. 

Provare l'esperienza di cambiare prospettiva nei confronti della videocamera è qualcosa che tenta quasi ogni attore, specie se consci dei propri limiti e desiderosi di assicurarsi un piano B per il futuro. Poi ci sono quelli come Mélanie "Au revouir, Chochanna!" Laurent, che lo fanno solo perché ne hanno voglia.

La nostra poi non è nemmeno nuova alla pratica e si è contraddistinta per uno stile ruvido che, dall'alto della mia caratura da uomo medio, non mi sarei decisamente aspettato da lei.

Galveston è una di quelle pellicole belle crepuscolari e zozze come piacciono a me, e in quanto a sozzosità ha chiamato nientemeno che Nic Pizzolatto, dato che la storia è l'adattamento di un suo romanzo. 

O almeno... doveva esserlo. Il tanto sbandierato autore di True detective diede forfait a causa delle divergenze creative con la regista, tantoché venne accreditato come Jim Hammett e lo script fu concluso in qualche maniera dalla Laurent.

Insomma, chi ben comincia...

Assodato che forse la nostra ha un bel caratterino, va da sé che anche a livello produttivo il film ebbe una vita non proprio semplicissima, e infatti sembra essere posseduto da due anime. 

Galveston è un film che da una parte ha tutto lo scibile che ci si potrebbe aspettare da una storia di perdita, dolore e sofferenza degli ultimi, quelli digeriti e cagati senza tante riserve dalla vita, dall'altra vorrebbe avere una delicatezza estranea a quel mondo, nel mostrare soggetti poco raccomandabili ma che dentro di loro posseggono ancora un'anima in grado di rendere questo pianeta un posto migliore.

Sono proprio queste, per me, le storie più belle, quelle che sanno ritrarre lo scibile umano con fredda crudezza senza rinunciare a quella piccola luce. E nel mezzo piazzano pure delle riflessioni sulla vita, sulle scelte fatte e quelle non affrontate che in qualche modo ci accomunano tutti.

Pizzolatto - anche se su grande schermo si è prestato solo a remake del menga - ha un talento innato nel raccontare storie così.

La Laurent un po' meno.

Se dovessi dire che Galveston - con tutto il cucuzzaro che è pane per i miei denti e che lo fa partire avvantaggiato - mi è piaciuto moltissimo, mentirei, ma direi una bugia anche nell'asserire che è un filmaccio. Come spesso accader, la realtà sta in un limbo difficile da decifrare e che è una somma delle proprie stesse parti. Insieme creano qualcosa di poco decifrabile, prese singolarmente invece hanno diversi elementi da analizzare.

Perché un conto è voler essere ruvidi e sporchi, un altro invece cercare di esserlo, quando si vende sapone. La Laurent purtroppo fa la saponiera professionista, prova a sporcarsi, ma poi l'istinto da lavandaia subentra prepotente in quella che è la composizione generale delle scene e dei loro tempi. 

Fare un film - e dunque, anche i registi - è un'arte molto più complessa di quello che si può pensare. Non basta saper creare le immagini giuste per le scene giuste, quanto realizzare dei collanti adeguati per tutta la durata della pellicola. Mettere la macchina da presa nella posizione giusta per una scena è solo il primo passo, perché tutto deve arrivare e seguire da quel momento.

Mélanie nostra ha delle buone idee, il problema è sempre come ci si arriva (visivamente parlando, s'intende) e come la narrazione procede dopo il deflagrare dei momenti più ispirati. Che sono belli, tipo la primissima sparatoria, ma avviati da escamotage narrativi ed estetici che lasciano a desiderare - seriamente, il modo in cui Roy riesce a scappare è davvero brutto da vedere...

Poi però sono gli attori a parlare e il passato dietro l'altro lato della barricata della nostra si vede. Nonostante l'azione, Galveston è un film di interpreti, sospeso in un limbo tutto suo che non viene toccato dalla polvere che guasta l'ambiente lercio che vorrebbe fotografare.

Rinascita, redenzione e crudeltà. Di questo parla, alla fine, lasciandoci a un finale più bello del film stesso e che ne mostra un aspetto particolare: concentrarsi più sul silenzio della tempesta che sul suo deflagrare.

Per la sensibilità di alcuni potrà essere un bene, per chi voleva qualcosa di sanguigno come i suoi protagonisti sentirà un gusto vagamente insapore. Ma forse sarò io ad essere più tipo da rosticcerie...








Commenti

  1. Non lo conoscevo, vedendo su Wikipedia il cast mi sono accorta della presenza di Maria Valverde,alias Melissa P

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