HOUNDS OF LOVE, di Ben Young

Australia, 1987. La giovanissima Vicki, scottata dalla separazione dei genitori e in bizze con la madre, viene rapita da una coppia di maniaci che ha già sulla coscienza diverse ragazze. Dovrà farsi furba per sopravvivere, cercando di metterli l'uno contro l'altra...

Alla fine è successo. Da buon snob quale sono, ho deciso che pagare l'abbonamento per Netflix - ora che hanno effettuato la mossa suicida di disdire la condivisione degli account - non ne vale più la pena e sono caduto tra le grinfie di Mubi, il sito streaming che ti crea i risvoltini ai jeans.

Tra le varie cose, è stato proprio il volermi vedere questo Hounds of love, a farmi optare per il cambio servizio.

Tra l'altro... da dove spunta fuori?

Già mi aveva solleticato l'interesse leggere la descrizione che ne davano su Prime Video. Insomma, sembra roba per me, anche se vederlo poi in un menu così aesthetic mi ha un po' demoralizzato, ma è partito il disclaimer che metteva in guardia verso "violenza sessuale, abusi domestici, ingiurie e violenza sugli animali"...

... quindi pare che pure gli hipster sappiano divertirsi.

E sapete una cosa? Il film mantiene (in parte) tutte queste promesse, ma non sconfina mai di quel tanto da diventare cinema degli eccessi. Ma è peso, peso forte, e forse è meglio mettere in guardia che la visione per alcuni potrà essere davvero insostenibile, pur non vedendo quasi nulla, se non gli effetti immediati delle violenze perpetrate.

E sì, mi è davvero piaciuto, anche se non tanto quanto avrei voluto. Ma certi spezzoni me li porterò dentro per parecchio.

Proprio per questo pare incredibile che Ben Young qui sia al proprio esordio.

Tra l'altro, il nostro non si ispira a un fatto in particolare, ma a nove casi di cronaca nerissima che hanno insozzato la città di Perth negli ultimi anni Ottanta. Il risultato è una roba che ha fatto bagnare male i critici di mezzo mondo... o almeno, la metà che non comprende l'Italia perché io non l'avevo mai sentito nominare prima - e pure su Mubi sta sottotitolato, aggiungo - e che3 forse avrebbe meritato più seguito, anche se da una parte capisco che non possa creare molto appeal.

Del resto, lo suggerisce pure Young all'inizio con una (bellissima) ripresa al rallenty da far schiumare d'invidia pure Snyder: questo è un film che i prende i suoi tempi, lavora sui personaggi e alla crudezza delle scene preferisce la tensione della sospensione, quel tipo di angoscia che si presenta quando il tempo si dilata e il blocco sulla scena focale lascia immaginare quanto pulcinellamente succederà.

Ma allo stesso tempo, con un escamotage visivo che mi ha ricordato Velluto blu, suggerisce quale possa essere uno dei fini ultimi della sua narrazione, quel riprendere una società apparentemente bella e tranquilla ma che al proprio interno nasconde i peggiori orrori della provincia. Ovvio quindi che il rapimento sfocerà nel #metaforone che da una parte mi piace assaje e dell'altra rischia di mandare tutto in vacchissima.

Spoiler: nessuno muggisce. 

In compenso però fanno tutto quello annunciato nel disclaimer e il film fila che è una meraviglia. Una storia torbida e di orrore narrata con una maestria che da un novellino proprio non ti aspetti, che pone i due maniaci sotto una luce particolare (lei caratterizzata davvero bene!) e con un lavoro di casting esagerato. La Booth bellissima e "sbagliata" allo stesso tempo, Curry laido solo a guardarlo e la Cummings che richiama tutto ciò che della "preda" può portare la mente. 

Chiaro quindi che parlando dei killer mette in scena anche tutte le questioni legate al corpo della donna, alla soggettazione maschile e alle dinamiche interne ai gruppi. Parte tutto con la separazione della madre (per quale motivo non si capisce, si rinfaccia una certa "indipendenza") e tutta la parte della prigionia è tenuta in scacco da come lui manipola la chiunque nello spazio angusto della casa.

Quindi sì, i personaggi urlano, c'è sangue, violenze assortite che si fermano appena prima di diventare mera pornografia del dolore voyeuristica, ma...

Sapete quando mangiate tanto qualcosa di cui andate ghiotti ma non finire mai per essere sazi?

Ecco, la stessa cosa.

Hounds of love è il mio tipo di film, realizzato alla maniera che piace a me, ma ho avuto come l'impressione che non avesse il coraggio di osare davvero,

Che non è mostrare le peggio cose od osare l'inosabile, ma sapere sfruttare fino alle estreme conseguenze quanto si ha tra le mani. Young - qui al suo esordio, ricordiamolo -  già riesce a mettere un ritmo calibratissimo in un film che non punta ad essere un centometrista e a distaccarsi quanto basta dalla violenza grafica da non entrare nella mera volgarità. Forse però, nella scena che sicuramente vi ruberà qualche ora di sonno, la porta non serviva chiuderla quanto socchiuderla... non so se mi spiego.

Manca il botto, quello che dopo aver annusato la merda te ne fa sentire il tocco e l'umido. Qui tutto appare quasi sospeso, invece. Che non è per forza un demerito, ma si viene a sentire quando attacca con un finale che chiude tutti i punti e le tematiche ma pecca di zuccheri e abbracci.

A quelli non hanno messo in disclaimer...

E forse si poteva lavorare proprio lì, per rendere questa esperienza davvero completa.

Comunque, il titolo fa davvero riferimento alla canzone della Bush, che però non compare nel film perché i diritti costavano troppo. Nel fantomatico inizio, però, ne potete sentire una versione distorta, per sfuggire proprio alla richiesta pecuniaria.

Diavolo di un Ben Young!





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