RE GRANCHIO, di Alessio Rigo de Righi, Matteo Zoppis

Luciano, figlio del medico del paese, ribelle e pure ubriacone, dopo un'azione scellerata in seguito al furto della sua amata da parte del principe, è costretto a scappare dalla Tuscia alla Terra del Fuoco. Lì ci sarà un tesoro che...

Inizia il film e già pensi all'inculata.

Un gruppo di cacciatori si ritrova e inizia a raccontare di questo Luciano. Capisci dopo pochi minuti che per fortuna non ti sei imbattuto nel videoblog del buon Bepi cazador, ma è proprio il film, si tratta di una trovata narrativa dei due registi Alessio Rigo de Righi (salute!) e Matteo Zoppis, una precisa scelta stilistica che abbraccia l'arte popolare del racconto.

Del resto, tutte le storie sono iniziate raccontate attorno a un fuoco o a una tavolata e questa non fa eccezione. Ma è anche il sunto del loro percorso artistico, dato che il duo pieno di brio mancato proviene dal documentario e questo è la naturale prosecuzione de Il solengo e Belva nera, due docufilm intrisi di vecchiaia, emarginazione e racconto popolare.

Prendendo spunto da un personaggio realmente esistito, la cui vita è stata alimentata dalla leggenda, ne esce un film bellissimo e allo stesso tempo vecchio dentro, che non sembra realizzato da due miei semi-coetanei, ma da uno che si ostina a un'idea di cinema quasi superata e dove la natura documentaristica dei due prende piede in più di un momento.

Vita di paese, attimi di scorci di vita e, soprattutto, volti indimenticabili, nella loro bruttezza uno più bello dell'altro, tra facce butterate e ustionate dal sole, sporco, croste e barbe incolte.

Un cinema verità che, accompagnato da una fotografia stupenda e un uso dei colori superlativo - quando necessario, siamo perlopiù a camera fissa - in grado di farti cadere la mascella dalla bellezza. E come da tradizione, attori non professionisti.

Sa, sono presi dalla strada...

Per assurdo risultano più credibili di molti loro colleghi ben più blasonati, anche a favore di una chimica tra loro inspiegabile a parole, genesi di una sana naturalezza. E pure lei, Maria Alexandra Lungu (forse l'avrete vista ne Le meraviglie della Rohrcosa) ha un viso di una bellezza così particolare da imprimersi nelle meningi, e porta il film in quella dimensione da favola tipica delle storie della tradizione orale. 

Certo... avessi capito una parola di quello che dicono, mi sarebbe piaciuto ancora di più.

No, seriamente, ci sono dei grossi problemi di audio.

Lasciando però da parte i problemi uditivi e il costante regolamento di conti e toni col telecomando, resta un film sì lento, ma splendido da vedere e bellissimo. Non privo di difetti, come quella prima parte naturale e tutto quello che vuoi, ma oggettivamente tirata troppo per le lunghe, così come la gestione del personaggio femminile che rimanderebbe a settembre a qualsiasi test di Bechdel, supportata poi da una seconda che abbraccia lo stesso stilema per continuità, ma allo stesso tempo lo tradisce in maniera quasi blasfema.

Perché da un realismo assoluto, per quanto possa essere realistica una favola che racconta di un uomo entrato nella leggenda popolare, passiamo al realismo magico che molto rimanda a Marquez, mostrandoci cento giorni di solitudine in compagnia di un uomo e della sua ricerca del tesoro.

Ecco, a riprova che il nostro cinema sta meglio di me, c'è proprio quell'atto finale che darebbe senso a tutto, anche all'innominabile.

Paesaggi mozzafiato che diventano veri e propri co-protagonisti e una trama che prende viatici insperati, rendono la prosecuzione di Re granchio una vera e propria sorpresa, tanto da farti dimenticare quella prima parte forse troppo introduttiva, rendendo l'esperienza visiva ancora più appagante e necessaria.

Anche perché, un film che fino a poco prima sembrava girare a vuoto, riesce a chiudere tutte le paretesi alla perfezione, e con una delicatezza strabiliante.

"Tornerò a casa", dice Luciano, parlando di cosa farà una volta trovato il tesoro.

E il film parla proprio di questo, per assurdo, proprio mentre ci porta in culo al mondo (la seconda parte si chiama proprio così) riesce a creare un discorso sul tornare a casa e il mettere radici senza retorica, senza giri di parole o melensaggini, ma con pochi passaggi elementari che spaccherebbero il cuore a chiunque.

Ci resterà una delle sparatorie più innocue ma belle degli ultimi anni, sempre ritratta con lo stile statico e minimale a cui quest'opera tiene fede, pur tradendosi nel suo proseguire, una svolta di trama inaspettata e infine la rivelazione finale, quella che mette voce al titolo e a quel girovagare del suo protagonisti.

Re granchio mostra un amore quasi innocente, forse nemmeno consumato, e la sua consacrazione ideologica verso la fine con quella proiezione che difficilmente dimenticherò.

Donarci il mondo, illuderci di un fantomatico one piece e farci sopravvivere alle peggiori tribolazioni - questo film sarebbe un ottimo western, sul suo finire -  solo per ricordarci che casa è dove siamo stati bene e il nostro cuore, il nostro tesoro, sarà legato sempre a lì. Un ritratto dell'amore anti retorico e per nulla banale nella sua estrema semplicità.   

Inaspettato e totalizzante oltre ogni aspettativa, per me. Sapevo mi sarebbe piaciuto, ma non avrei mai detto o immaginato così tanto. Lo consiglio caldamente.

Solo... cacchio, quei cavolo di volumi imparate a mixarli...







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