HARD CANDY, di David Slade

Il fotografo Jeff attira in un bar la giovanissima Hayley, conosciuta su internet, invitandola poi a casa sua... ma la ragazzina è molto più scafata di quanto sembri e, da iniziale preda, ribaltando in fretta la situazione. Anche perché, come si scoprirà, i due non sono proprio estranei. Altroché!

David Slade ha una delle carriere più strane di sempre e lo si capisce proprio da questo esordio. Diciamocelo chiaramente, chiunque avrebbe firmato col sangue per iniziare con un film così, e tra un Sundance e l'altro il suo futuro hollywoodiano sembrava già scritto nelle stelle, solo che erano stelle filanti.

Insomma, avete mai sentito il suo nome, a parte da uno che probabilmente voleva scroccarvi una dose o convincervi a leggere il suo blog?

Tra l'altro, questo film si fa portavoce di un'arte oramai perduta: quella delle locandine belle. Perché se già la trama non bastasse, ai tempi fu proprio il poster promozionale che mi convinse a vederlo, e ripensarci oggi, in un'epoca di faccioni piazzati a caso con Photoshop dallo stagista di turno, fa la sua straporchissima figura. Ma come abbiamo detto, è un'arte oramai perduta.

A riprova del tempo che passa poi c'è anche la presenza di Elliot Page, allora ben lontano dal processo di transizione e accreditato come Ellen.

Had candy, dicevamo. Nel gergo del deep internet, con quel termine di indicano le minorenni, ed è quindi intuibile dove andrà a parare il film. La sorpresa invece sta proprio nel ribaltamento che avremo già all'inizio, gestito con inusitata intelligenza e senza paura di sporcarsi le mani. Forse è per questo che da noi è passato direttamente nel cestone del discount.

Fosse stato coreano, avrebbe avuto tutto un altro destino.

Le basi, manco a dirlo, prendono spinto da un fatto di cronaca. Giapponese, ad essere precisi, e vedeva come protagoniste delle ragazzine che adescavano uomini adulti in rete per poi torturarli. Su quello volle basarsi il produttore David Higgins per la gestazione embrionale del film, ma vista l'esigua disponibilità del budget - ben inferiore al milione di dollari - furono costretti ad ambientare tutto in un'unica location e per ciò servì un autore teatrale come Brian Nelson.

Hard candy è infatti un film molto dialogato, svolto perlopiù in un solo luogo e gran parte delle cose avvengono fuori schermo, quasi a suggerire l'idea che, proprio come davanti a una piece, sia il pubblico a dover immaginare, quando proprio non si tratta di suggestioni dettate dalla lunga tortura perpetrata. E' stato anche girato cronologicamente, proprio perché gli attori avessero la medesima sensazione. 

Slade però non si limita ad adagiarsi sulla sceneggiatura di Nelson. Quella fa grandissima parte del lavoro, ma il film non sarebbe stato questo gran pezzo di cult senza il suo supporto visivo del nostro. 

Vuoi per l'eleganza dei colori regalati dalla fotografia di Jo Willems, o per come viene usata tramite l'alternanza di toni caldi e freddi nei momenti più impensabili o, per assurdo, proprio quando sarebbe stato quasi naturale invertire l'ordine, ma Slade crea un lavoro egregio perché oltre a queste chicche comprende sempre quando e come fermarsi, giocando con l'imposizione teatrale, estendendo nel concetto di tortura proprio l'immaginazione che il palco richiede in un raffinatissimo gioco di tensione col pubblico.

Non c'è compiacimento, non è un torture porn in piena regola proprio perché manca l'aspetto più di pancia della faccenda, che sta nel non indurci a gioire delle sofferenze - fisiche e soprattutto psicologiche - inferte a Jeff dalla protagonista. 

Eppure, si esce da certe sequenze estenuati come se si fosse guardato uno splatter.

Noi ci limitiamo a seguire Hayley nel suo piano, a una certa non sapendo nemmeno se la ragazza abbia ragione o meno, ed è in questo che il film dimostra molto coraggio e una lucidità sorprendenti, proprio per come gestisce gli aspetti più borderline.

Non è un film rassicurante o che vuole farti provare empatia per uno dei personaggi. Tutti e due mostrano delle zone d'ombra piuttosto grandi, pertanto anche l'aspetto vendicativo non abbraccia mai stilemi reazionari, ma porta a uno scoprire delle verità che riguardano entrambi e vengono svelate con pazienza certosina, in un gioco sadico che nella storia recente ha avuto davvero pochi eguali.

A questo aggiungete due attori in stato di grazia, entrambi agli inizi, ma che già dimostravano un affiatamento non comune e la classe recitativa di due professionisti navigati.  

Insomma, tutti si aspettavano grandi cose da Slade. Invece proseguì con 30 giorni di buio - che aveva almeno una messa in scena degna di nota - per poi infognarsi con Eclipse, il terzo capitolo di Twilight. Insomma, la sua carriera aveva incontrato il lupo pure senza bere...

Si è in parte riscattato nel mondo delle serie tv con Hannibal e American Gods, ma l'amarezza per quel talento cinematografico inespresso è rimasta....






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