I PREDATORI, di Pietro Castellitto
E mentre Castellitto aspetta che il critico lo fenda come un predone barbaro, questi apre la bocca e, in una smania citazionista, grida: «Ehi, Castellitto! Lo sai di chi sei figlio tu? Sei figlio...»
... d'arte, eh.
Eppure basta la prima scena...
Una serie di "esterni giorno". Riprese fisse, statiche. Poi il suono di una macchina che sfreccia. Si fa sempre più forte e, nella distorsione che precede l'avvicinarsi a noi e la successiva entrata nell'inquadratura, avviene lo stacco. Siamo nell'esterno successivo e il trucco si ripete per una manciata di volte.
Qualcosa che sta per arrivare a sconvolgere tutto, ma la dirompenza viene tolta all'ultimo, lasciandoci in sospeso.
A questo, segue un lungo piano sequenza che insegue un tizio misterioso, instaurando una tarantella tra il resto degli attori e le comparse, per portarci negli eventi che scateneranno la storia e trasformando l'ambiente in un personaggio a sé.
Basta poco per farti dimenticare tutti i preconcetti che si possono avere verso un figlio d'arte, quando questi dimostra di essere più di un gran co... gnome.
Perché il portatore sano del gene Mazzantini sa il fatto suo. Certo, aiutato dal fatto di essere cresciuto nell'ambiente giusto, di respirare cinema da che è piccolo e di essere stato erudito da professionisti che anche il più dritto del Centro Sperimentale si sogna. ma c'è qualcosa sottotraccia che riesce a farti capire come il talento a volte sia innato e che, per quanto i figli d'arte si trascinino dietro una certa antipatia innata, va riconosciuto il giusto merito quando si presenta.
Anche solo per essere sopravvissuto a quel Vietnam che è Roma Nord, eh...
Al di là di tutto, posso dire che questo I predatori, pur portandosi dietro delle debolezze tipiche delle opere prime, ha l'acida sicurezza degli inizi, una cazzimma non da poco e, soprattutto, un estro che al nostro cinema non può che fare bene.
Sì insomma, finalmente un giovane che riesce a consegnarci qualcosa di svecchiato e meno immatusito.
Che a poterlo fare sia un "figlio di", invece, è forse il vero focus della faccenda.
Tornando al film, tutto si può dire tranne che faccia schifo. Ha un ritmo indiavolato, le battute ci sono e non si mangiano mai la scena, ma anzi, accompagnano lo svolgimento e sono perfettamente collaudate per descrivere i personaggi. Nulla di particolarmente elaborato, ma il gestire tutti questi aspetti in un'opera prima non è semplice e fino a questo punto Castellitto jr non compie passi falsi. Anzi, ha pure una certa ferocia che non guasta e te lo fa diventare simpatico a prescindere.
Eppure... eppure...
Non è voglia di cercare il pelo nell'uovo a tutti i costi, ma ai titoli di coda sono rimasto con più dubbi che altro. Senza nulla togliere alle qualità del nostro, ho avuto la sensazione che il film non mi sia piaciuto quanto avrei voluto, di essere rimasto con una vaga impalpabilità in mezzo a tutti quei personaggi, situazioni e casini.
La voglia di frantumare il concetto di famiglia e di merito in un'Italia ormai divenuta un pallido essere indefinito, che dal basso preme per una nostalgia distorta e nelle classi più abbienti resta avviluppato in un micro-mondo a sé, fra nevrosi, tradimenti e voglia di rivalsa, ognuno a modo suo. Ma rimane un racconto che morde senza mai far sanguinare, dove ogni personaggio ha il suo momento, ma mai abbastanza tempo per brillare. Il risultato è un bignami di ciò che sarebbe potuto essere, come una conoscenza superficiale che però non ti dà la complessità totale della situazione, ma anzi, la sensazione di ascoltare un discorso già riciclato altrove.
Tutto questo, mentre Castellitto dirige con una mano più sicura delle sue stesse idee, così vogliose di distinguersi da finire per allacciarsi a stilemi ben consolidato del nostro cinema, forse pago di una sicurezza in sé eccessiva o di una paura di strafare.
Di base, si attende uno scandalo che come il rap alla cena strappa solo qualche sorriso, ma forse la vera provocazione sta nell'illuderci che la realtà sia veramente così di "manic(he)a larga" da dividersi in burini fasci e ricchi sinistri - anche se il dialogo finale delle donne di borgata rimane un momento decisamente notevole.
Una storia di gente - checché si presenti alla vista - brutta, sporca e cattiva, ma che alla fine non restituisce il vero lerciume che dovrebbe, se non qualche punta di disagio oculato verso un panorama divelto dall'interno. Tanta carne al fuoco - forse pure troppa - come spesso succede le prime volte, tanto che i veri predatori sembrano quelli che muoiono d'indigestione nel volerla mangiare tutta...
E la sensazione che, alla fine, abbiamo assistito allo spettacolo più borghese di tutti.
La critica alla borghesia stessa.
Il buon Pietro di sicuro nun sperava de morì prima, anche perché ha già un secondo film in uscita. Spero solo che, con l'esperienza accumulata, ci regali un film davvero in grado di spaccare.
Io ci spero, da buon predatore di belle storie.
Ma, oggettivamente, come si fa a non pensare che Castellitto jr. non sia "figlio di"? Dimmi la verità, ma se questo film lo avesse diretto un pincopallino qualsiasi saresti stato così indulgente? Io l'ho trovato insopportabile, e pensa che "Enea" è pure peggio... ma a parte questo, tolti i residenti di Roma Nord e dintorni, a chi possono interessare queste non-storie di gente ggiovane, infighettata, decerebrata, il cui unico problema è quello di cambiare spacciatore? Ovviamente non ce l'ho con te, è solo (mia) frustrazione nel constatare quanti soldoni e quanta stampa amica vanno a finire a cascata in operazioni come questa, che altrimenti mai nessun produttore accetterebbe di finanziare. Mah...
RispondiEliminaChe cattiveria 😅😅
EliminaNon mi pare di essere stato indulgente, ne ho ben sottolineato le criticità. Più che altro, non riesce a far risaltare il proprio potenziale - premettendo che ogni storia ne ha - che possono andare bene oltre Roma Nord.
Di "Enea" invece ho letto male praticamente ovunque...