REBEL MOON - PARTE 1: FIGLIA DEL FUOCO, di Zack Snyder

Una pacifico villaggio viene colonizzato dalle forze imperiali del malvagio impero rispondente al nome di Mondo Madre. Kora, una donna dal passato misterioso che si è costruita una nuova vita lì, cercherà dei ribelli per fronteggiare il malvagio impero...

Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana, un giovane Zack Snyder all'inizio della carriera, al quale non è mai mancato il coraggio, andò alla Lucasfilm per proporre un progetto ambizioso: delle pellicole dell'universo di Star Wars, ma condite con sesso e ultraviolenze. Perché? Perché i fan vanno fatti sentire adulti e ognuno fa quello che può.

Ovviamente gli dissero di no. E lui, che è famoso per essere una persona matura, disse: "Ah, sì? Mi farò un mio Star Wars, con blackjack e squillo di lusso!" 

Sì, Rebel Moon è praticamente nato così...

Sarebbe davvero ingeneroso bollare questa decima (undicesima, se si tiene conto anche della versione uscita nelle sale della Justice League) fatica dietro la macchina da presa del grande e irreprensibile Zack Snyder come una mera copia, senza analizzare anche i vari aspetti dell'illustre predecessore.

Questo perché uno dei desideri di George Lucas era quello di realizzare un remake delle avventure di Flash Gordon ma, semplificando molto, i diritti erano già in mano a Dino de Laurentis. La creatura di Alex Raymond però a sua volta era stata ispirata dalla saga John Carter di Marte di Burroughs, a loro volta debitori da Gulliver su Marte (sì, esiste sul serio) di Edwin Arnold.

Lucas a questi collegamenti immise delle prese in prestito dal Kurosawa de Il trono di sangue e La fortezza nascosta, al Dune di Herbert, giocando pure con gli stilemi visivi dello spaghetti western di Sergio Leone spalmate su un canonico percorso dell'eroe.

Snyder si è trovato grossomodo nella stessa situazione, solo che i suoi punti di riferimento sono stati sì Kurosawa, stavolta con I sette samurai, ma anche gli anime, i videogiochi e, parrebbe, anche la mitologia visiva di (ugh!) Leni Riefenstahl.

Questo non vuol dire che sono due cialtroni scopiazzatori, perché l'arte si auto-alimenta di continuo e le idee spesso sono dettate dalla necessità. Quindi non conta tanto quello che combini... ma come lo fai. E qui, sempre a proposito di Snyder, vanno spese un paio di paroline, sia sul cosa che sul come.

Perché è indubbio che gli siano capitate le sceneggiature più pezzenti e che si sia imposto grazie a uno stile visivo perfettamente riconoscibile, ma i più maligni potrebbero dire che solo nella attuale desolazione uno come lui può essere riconosciuto come autore... ma se anche quello che lo rende riconoscibile viene meno, cosa resta?

Insomma, che accade se si fotografa da solo i film?

Rebel Moon è un film di Snyder. Abbiamo le eroine iper-sessualizzate, i comprimari dalla morale ambigua (ma mai approfondita), la pomposità imponente, la violenza esasperata e gli immancabili slow-mo. Quando però ti accorgi che parte del suo "talento" era dovuto grossomodo agli eccellenti tecnici di cui si è sempre circondato, allora la magia cade e, salutato Larry Fong, la sua stessa mano per le luci toglie al film tutta quell'aura che nelle precedenti pellicole poteva piacere o meno, ma dava loro una sinistra uniformità plastica (io la adoravo) che qui viene a mancare.

Tolto quello, ogni film ne uscirebbe azzoppato.

Come si può prendere sul serio poi un'opera che risulta maciullata (molte scene di violenza sono state tolte per una futura director's cut... sì, un'altra) e con delle scelte di montaggio praticamente assassine nelle battaglie singole? E se oltre questo abbiamo anche delle messe a fuoco di dubbio gusto, che non sanno definire le scene ma anzi, rendono il tutto ancora più confusionario? 

Perché passi una fotografia canonica, ma quando la stessa scena presenta gradi di illuminazione diversa e non riesce a integrarsi con quella usata con gli effetti speciali (più di cento milioni di costo, ricordo), il film che senso ha, a parte il gigantesco ego del suo regista e del suo credersi un artista in lotta col sistema, quando invece è la versione istruita di Taz?

#Degli intellettuali il paria
Sei coatto più che mai
Ovunque passi lasci una scia
Di haters e piena di guai

Sempre tamarro 
Saturi a 100
Usi il rallenty appena puoi
Dei tutinari il monumento
Director's cut in ogni momento

Zack-Zack-Zack Snyder #  

Il film va avanti collezionando situazione di stallo, non aggiunge mai nulla di nuovo e lo fa con una pigrizia pedissequa. Si avverte una stortura in quello che si sta guardando, ma non raggiunge mai livelli di bruttezza così esagerati da risultare memorabili, solo situazione goffe, stanche, che a una certa non ti fanno nemmeno rimpiangere il tempo perso, ma annoiano e basta.

Insomma, nessuno che si chiama Martha...

Ecco, lo scontro tra i due dopati a suo modo era grandissimo cinema. Esagerato, indigesto, ridicolmente solenne ma con una tronfiaggine in grado di farti apprezzare un plot twist così assurdo perché di base l'idea c'era, ma usata demmerda. E ti lasciava con la sensazione che ci avevano provato (fallendo) e che si stava andando in una direzione. Qui si vaga per lo spazio, ma è un viaggio che diverte solo chi lo fa, non chi è costretto a guardare.

Perché l'arte si auto-alimenta, vero, ma se mangi male poi ti procuri la cagarella.

Intanto Netflix ha già pronta la seconda parte ma, al di là che sono state girate consecutivamente come un film solo, mi viene naturale una domanda: Perché Snyder lavora così tanto se, a parte gli spartani, ha collezionato solo flop?

Boh. Penso a lui come a uno dei Victorious e... no, non è un complimento.






Commenti

  1. La sigla dedicata a Zacky-Zack uno spasso! Un regista in involuzione brutale, prima puntava solo sull'estetica, ora nemmeno più quello, fa ridere che anche gli Snyderiani ottusi stanno provando a difenderlo, della serie, dà loro la corda ;-) Cheers!

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    1. La sigla è qualcosa di cui vado estremamente fiero, sarà dura replicare con la parte 2 😂 il resto sì, involuzione terribile e assurda. Tolta l'estetica, del suo cinema rimangono a malapena le ispirazioni, tanto ne escono infiacchite...

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