PEPPERMINT CANDY, di Lee Chang-dong

Un uomo si suicida buttandosi sotto un treno. Ripercorrendo la sua vita a ritroso, si scopriranno i motivi del suo gesto disperato...

Per quanto la moda dei cinemini ci abbia regalato la valangata di coreanate nel primo decennio degli Anni Zero, nessuno si è mai sfangato più di tanto Lee Chang-dong (ribattezzato da qui in avanti Ding Dong Dan), il meno cagato tra tutti i talentuosi. 

La cosa veramente imbarazzante fu che in pre-pandemia ci regalò Burning, l'ennesimo capolavoro della sua esigua produzione, solo che Bong Joon-ho si rubò tutti i premi e le attenzioni con Parasite - e sottolineo, viaggiano entrambi sullo stesso livello ma per motivi opposti, pertanto non voglio minimamente sminuire tutte le meritatissime conquiste del raccattone.

Tra l'altro, Ding Dong Dan non iniziò neppure come regista. Esordì come autore teatrale, ottenendo il posto di insegnate di letteratura coreana, scrisse un libro e, successivamente, spinto dai colleghi, si dedicò alla realizzazione di film, arrivando dieci anni dopo a ricoprire la carica di ministro della cultura e del turismo durante il secondo mandato di Goh Kun.

Bakha satang, ribattezzato col titolo internazionale di Peppermint candy, è il suo secondo film, e a sentire voci più autorevoli della mia pure la consacrazione definitiva della sua poetica, il film in cui capisce che tipo di cinema vuole dirigere e mette le prime stilettate al cuore di quelli che, fino al momento, sono sei lungometraggi attui a ribadire la sua superiorità umana. Non riesco a trovare un modo più indolore per dirlo, ma è letteralmente così, perché il modo che ha di guardare alla natura umana in tutte le sue sfaccettature è fuori da ogni possibile catalogazione, ivi il qui presente.

Che non offre chissà quale storiona - ma nessuna delle sue opere è narrativamente molto complessa. Qui per arginare il problema di una prosa narrativa non particolarmente avvincente, giacché è semplicemente il racconto di una vita finita in vacca fino alle estreme conseguenze, adotta il sistema dei continui flashback che molti hanno ricollegato al Memento di Nolan, ma sono due film che pur adottando uno stratagemma vagamente simile non ci capano proprio nulla l'uno con l'altro. 

Anzi, il paragone, così come il ribadire la superiorità di uno dei due, finisce per sminuire entrambi.

Nolan compiva un discorso sul tempo, sua massima ossessione, onde restituire lo stato di confusione del protagonista e parlare, con un esercizio di stile sicuramente affascinante, del dissociarsi e delle bugie che ci raccontiamo. 

Ding Dong Dan invece approfitta di un artifizio di montaggio molto elementare per raccontare non solo le tribolazioni passate del protagonista, ma la storia del suo paese, che "prosegue" a braccetto con questo sventurato personaggio principe, la cui vita finisce per essere punto focale del trauma attraversato dalla Corea del Sud, a cominciare da quell'ultimo anno di legge marziale del governo Park che portò anche alla crescita economica del paese, nelle cui spire finirà Yong-Ho. 

In comune, oltre a questa parvenza di gestione, c'è il fatto che lo shock maggiore si scatena in quello che sarebbe un ideale inizio. Tutto qui.

Solo che da una parte dà l'effetto sorpresa che stravolge l'intero film, dall'altra restituisce il peso di un'azione che ha avuto delle ripercussione su tutta la propria vita, descrivendo un pesante j'accuse contro la storia del proprio paese e restituendo una miseria umana molto sottile, quasi silente , che però ha macinato nell'anima di un uomo dalla giovinezza fino all'età adulta. 

Non proprio pizza e soia...

La bruttezza infatti è intrinsecamente protagonista di questa vicenda e rivela sempre più dettagli di una persona nata buona ma crescita guerriera sporcata dagli avvenimenti a cui, volente o nolente, è finito col prendere parte, perdendo l'innocenza originaria. Ma sarà proprio un ricordo innocente, proprio quello che dà il titolo al film, a fare da bulg-eun sil per tutta la vicenda.

Ding Dong Dan parla dei ricordi per esaltare, senza citarlo mai, un ricordo che esula da tutti gli sviluppi storici, ma cresce nel personale, qualcosa di bianco e innocente che finisce per essere sporcato dal caos frenetico della Storia (non un caso che in una delle ultime scene le caramelle bianche alla menta cadano a terra), qualcosa che assomiglia a un'amore ingenuo e bambino, così come infantile è il gesto stesso che ha accompagnato delle azioni tanto candide, perse poi in tutto quello che verrà.

Lontano forse dalle vere bombe che il nostro ci riserverà (Oasis verrà solo due anni dopo) ma già un occhio non solo capace ma attentissimo a tracciare i contorni di animi infranti e dolenti, ma incredibilmente reali. 

O a descrivere la complessità di una semplicità che passa spesso banalmente inosservata, come una mediocre caramella alla menta... 






Commenti

  1. Ogni storia ha la sua 'caramella alla menta' mi vien da dire, ogni percorso lascia indietro un po' della nostra pelle e sotto ad essa qualcosa di noi.....tanti sono i film che rappresentano questo soprattutto se vanno a caratterizzare bene i personaggi.
    Ding Dong....mannaggia a te 😅, il nostro Lee ha una sensibilità e un modo così particolare di raccontare, come la maggior parte dei registi orientali direi; quel modo di raccontare senza esternare troppo, in particolare i sentimenti: quel 'non detto' che rappresenta la loro poetica. Questo film purtroppo non sono riuscita a reperirlo, ho faticato un po' con 'Burning' ma Oasis è una perla lucente. 🙏

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    1. Questo l'ho trovato su MUBI (dove starà per pochi giorni ancora... 😅). "Oasis" di nome e di fatto, un film che ti fa stare bene col mondo.
      "Burning" invece l'ho adorato. Così diverso da quanto fatto prima eppure così fedele alla sua poetica... e lei di una bellezza sublime ❤️

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  2. Autore immenso, Burning l'avevo adorato, Oasis potentissimo, Poetry più delicato ma comunque ficcante, questo Peppermint una rivelazione. Regista da applausi a scena aperta questo Ding Dong Dan.

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    1. Immenso. Mi chiedo come mai non sia celebrato come altri suoi illustri conterranei.

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