UTØYA 22. JULI, di Erik Poppe

Kaja sta frequentando con la sorella, con la quale ha un pessimo rapporto, un campo estivo sostenuto dal partito laburista. Quando un folle comincia a sparare sui ragazzi, ognuno pensa di darsi alla fuga... il primo pensiero di Kaja invece è quello di ritrovare la sorella. Inizierà così una corsa disperata per la sopravvivenza, non solo sua.

La Scandinavia è famosa per essere una delle zone più sicure e tranquille, ma in un posto dove per sei mesi l'anno non hanno il sole è lecito aspettarsi di tutto. Se la Finlandia ha avuto gli irrisolti massacri del lago Bodom, in Norvegia possono "vantare" ben due attentati lo stesso giorno, il primo a Oslo e poche ore più tardi sull'isola di Utøya.

Si tratta di due atti eseguiti il 22 luglio 2011 per mano dell'estrema destra, che lì soffre della formazione di micro-gruppi molto preoccupanti che nel corso degli anni hanno ampliato la loro voce, con tutte le conseguenze del caso - le stesse che tutto il mondo sta tragicamente attraversando.

Nella capitale fecero esplodere un'autobomba fuori dal palazzo ospitante l'ufficio del primo ministro Jens Stoltenberg; morirono otto persone e duecentonove furono ferite, anche gravemente. Sull'isola di Utøya invece, durate un campeggio del partito laburista, un uomo vestito da poliziotto si mise a sparare all'impazzate, falciando le vite di sessantanove giovani e ferendone altri centodieci.

Il cecchino folle era il trentaduenne Anders Behring Breivik, simpatizzante di estrema destra e autore di un memoriale nel quale si definiva un salvatore del cristianesimo e il più grande difensore della cultura conservatrice dal 1950. Secondo il giovane uomo il partito laburista era da ritenersi responsabile del disgregamento dell'identità Norvegese e il multiculturalismo stava portando il paese alla rovina per colpa di un'ipotetica invasione islamica. Durante il processo vennero trasmessi dei video che lo ritraevano indossante dei simboli cristiani e addirittura una divisa dei cavalieri templari.

Questo lo spunto su cui si basa il film Utøya 22. juli. Il fatto ispirò pure Paul Greengrass per il suo 22 luglio, nel quale il cineasta americano noto per la trilogia di Bourne eseguiva una metodica ricostruzione sulle azioni di Breivik, con annesso processo giudiziario; il filmmaker Erik Poppe invece abbandona la strada del biopic o della mera ricostruzione, preferendogli una strategia diametralmente opposta, per un film immenso nella sua semplicità e, se vogliamo, più angosciante di molti horror che vi capiterà di vedere.

Sono serio, astenersi deboli di cuore, anche se le scene di violenza esplicita sono davvero risicatissime.

La pellicola prende dei personaggi inventati di sana pianta e li piazza dentro quello scenario. Non vedremo mai in volto il fuciliere, ci sarà concessa una fugace apparizione a lunga distanza verso la fine, presenzierà al pari di un "angelo" sterminatore invisibile per la stragrande maggioranza del tempo, mentre la gente corre, scappa, si nasconde e muore.

Il film è stato girato interamente in piano sequenza, tecnica che sta esplodendo ultimamente e che qui aveva dato lustro ancora prima di Birdman. Per quei pochi che ancora non lo sapessero, questa tecnica consiste in un movimento di macchina senza stacchi; la particolarità è che permette una maggiore immersione poiché conferisce l'idea, sia a livello inconscio che per coloro a conoscenza delle dinamiche produttive, di essere al centro di un'azione continua, poiché non avvengono tagli che permettono la ricostruzione della scena - in realtà ci sono, ma mascherati per conferire l'illusione ciò avvenga.

La visione si trasforma così in una disavventura real-time (il piano sequenza, eccetto vari sperimentalismi o idee di regia, si focalizza sul qui ed ora) su quanto sta avvenendo sull'isola. In questo caso, la ricerca di Kaja della sorella con la quale i rapporti erano tesissimi, oltre alla mera sopravvivenza; un impianto drammatico efficacissimo nella sua semplicità, in grado di conferirgli una scrittura drammaturgica con pochissime pennellate e spalmata comodamente per tutta la sua durata.

Sui modi per disquisire di tragedie ancora fresche nella memoria dei superstiti se ne può discorrere finché vogliamo, l'opera di Erik Poppe però non cerca sensazionalismi ed è asciutta, ridotta all'osso, con poco mostra l'orrore del fanatismo e la determinazione delle pedine al suo interno. Quello che rimarrà sarà la tensione che solo il miglior cinema può dare, insieme al ritratto bellissimo di una coraggiosissima giovane donna, del suo tentativo di salvare il salvabile e la determinazione di un'animo a suo modo puro mentre si scontra con l'orrore.

Pur durando poco meno di un'ora e mezza si è trattata di una visione estenuante, al cardiopalma, anche se il ritmo non è quello sincopato dell'action hollywoodiano. Ma soprattutto, è un film sulla sconfitta umana, senza speranza, che pone un occhio piuttosto nefasto su un passato da noi arrivato in sordina ma le cui azioni ad ampio raggio si stanno espandendo a macchia d'olio anche nei nostri lidi.

E questo sì che dovrebbe fare davvero paura. 

Breivik sta scontando una pena di ventuno anni in carcere, si è convertito al nazismo e all'odinismo, affermando di voler compiere sacrifici per il Padre degli Dèi. Dalle sue dichiarazioni è emerso pure il desiderio di uccidere il presidente Obama e di voler fondare un nuovo partito di estrema destra. Ha avuto molti emuli, si dice che l'autore del massacro alla Sandy Hook Elementary School avesse la sua foto sul profilo WhatsApp. 

Un anno dopo i fatti, gli Epica dedicarono alle vittime di Utøya la canzone qui sotto. Erik Poppe invece ha fatto questo bellissimo (e altrettanto amaro) film. 






Commenti

  1. Tragedia "vissuta" dalla parte delle "vittime" con un crescendo continuo di tensione che nulla concede allo spettatore se non angoscia e il terrore, in dosi minime, rispetto a quello che devono avere sentito quelle giovani vite. Terribile. A volte non so decidere se viviamo in una società, sistema sociale o soltanto un sistema. E la Norvegia per tanti aspetti è avanti e di tanto rispetto a noi e la reazione da loro avuta come risposta giudiziaria credo sia da prendere quanto meno come spunto di riflessione. Credo mai passato sulla Rai. Mancanza grave secondo me.

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    1. Mai distribuito in Italia, a dire il vero, in nessuna forma.
      I tuoi dubbi per me fanno parte di un discorso così grande che servirebbe un vero trattato - e una voce più autorevole della mia. Il problema dell'estrema destra violenta però da loro esiste da anni, e se ha attecchito in un paese "che funziona", possiamo solo immaginare gli sviluppi che può avere da noi.

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  2. 21 anni leggo sono la pena massima per la Norvegia, io avrei buttato via la chiave. Il film non l'ho visto e credo sia insostenibile, bellissima recensione!

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    1. Mette a dura prova, pur essendo tra i meno violenti che ho trattato su queste pagine. Emotivamente un vero e proprio macigno.
      Al posto di buttare chiavi, credo sia meglio lavorare sulla cause che permettono la nascita di questi fenomeni - leggere della vita dell'assassino offre numerosi spunti.

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  3. Senz'altro, ma non credo purtroppo a queste soluzioni di buon senso; non paiono dare frutti e ci sono troppe collusioni intorno. La prigione non serve ma non mi sembra si sia pentito e a piede libero se non ha fatto un percorso personale, è facile capire come potrebbe finire. Sapeva a cosa andava incontro e lo ha fatto ugualmente, boh, facile essere tranchant, chiaro, so di essere semplicistica nel discorso, ma è stato giudicato sano di mente per cui....

    Probabilmente sì, il tuo amore per il cinema e la voglia di scoprire ti ha fatto recensire film anche più forti, ma quando si tratta di storie vere è un altro paio di maniche, lo vivo in maniera diversa. Poco tempo fa ho voluto vedere 'Diaz', non lo avevo nei visto, beh sono stata male. Film necessari ma davvero una sofferenza.

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  4. Ottimo film, diretto e senza fronzoli, di tutt'altra pasta rispetto alla pellicola di Greengrass, decisamente più politica e meno ansiogena. Tra le due sceglierei assolutamente questa come specchio di una tragedia. Anche se alla fine la cosa più inquietante è pensare che Breivik uscirà dal carcere ad appena 53 anni, e sarà forse più pericoloso di prima...

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    1. Sarà pericoloso in base al mondo che si troverà ad "accoglierlo", purtroppo...

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