CHAINSAW MAN - IL FILM: LA STORIA DI REZE, di Tatsuya Yoshihara

Dopo lo scontro con l'Uomo Katana, Denji continua la sua vita come killer di demoni per la Divisione Speciale 4. Un giorno di pioggia gli capita di incontrare non Licia, ma ugualmente per caso Reze, una ragazza molto particolare verso la quale si sente immediatamente attratto, nonostante la preesistente infatuazione verso il proprio capo Makima. Tutto questo però porterà a...

Non mi stupisce che la serie anime di Chainsaw Man, così come il manga di Tatsuki Fujimoto, abbia riscosso tutto questo successo. Più ignorante di un album degli Steel Panther, ha comunque saputo unire a un'animazione sopraffina una storia coinvolgente e, a suo modo, pure profonda, senza lesinare sul divertimento tamarro e le intuizioni visive più raffinate. Il tutto parlando di uno sfigato che si trasforma in un demone armato di motoseghe prensili.

Sarebbe ingiusto non considerare questo aspetto, perché si tratta di un prodotto in grado di accontentare ogni tipo di palato mantenendo comunque una propria identità specifica. 

Tutto quello che si vede sullo schermo appartiene unicamente al mondo di Denji e soci ed è perfettamente riconoscibile, nonostante le innegabili influenze... il che mette il film animato di Tatsuya Yoshihara in un campionato davvero difficile. 

La nuova ottica produttiva tipicamente nipponica si sta rivelando infatti quella di proseguire le serie animate sul grande schermo, cosa già successa con risultati alterni alle narrazioni di Made in abyss e Demon slayer, con la conseguente nascita di due filosofie lavorative: vedere il buio della sala cinematografica come un modo per abbattere i costi oppure un dispendio ancora maggiore di mezzi, rasentando le ambizioni dei kolossal.

È proprio qui che casca la motosega, perché comunque la si voglia vedere è una soluzione che porta con sé diversi vantaggi ma anche problematiche. I primi sono sicuramente la maggiore diffusione che la distribuzione giocoforza porta con sé, le seconde invece è che si tratta di pellicole comunque legate a un tipo di pubblico preciso che, con la fidelizzazione che comportano, tagliano già le gambe a molta possibile audience - da noi una cosa simile se la può permettere solo Downtown Abbey, e il fatto che nomini quella serie proprio qui fa giusto ridere.

Resta poi il fatto interno alla narrazione stessa, che comporta la difficoltà di ottenere una pellicola in grado di reggersi da sola sulle proprie gambe essendo uno dei tanti capitoli che porta avanti la trama principale. Non un episodio a sé come è stato il film di Cowboy Bebop, sempre restando in termini di eccellenze, ma proprio un prodotto che instaura uno specifico discorso coi propri personaggi e la loro evoluzione.

Ecco, ciò che rende speciale questo salto sulla celluloide del Demone Motosega è proprio la chiarezza d'intenti interna, dove pur pagando lo scotto di un'opera che ha già visto lo sviluppo dei protagonisti altrove riesce ad avere un perfetto bilanciamento delle parti in grado di rendere l'esperienza cinematografica qualcosa di relegato sì a un circolo esclusivo, ma comunque identitario della sua stessa natura, con tutti i crismi che un lungometraggio animato comporta. Ci sono delle motivazioni specifiche nelle tematiche scelte e in come vengono sviscerate, la conclusione conduce non tanto alla fine di un arco narrativo ma di un processo che porta Denji e i suoi comprimari alla scoperta di una parte di sé e a quello che resta delle rispettive nature umane e del modo che si ha di rapportarsi con le vite altrui.

Non verrà ricordato in primis per questo, ma The Reze arc è un film che riprende la crescista emotiva, morale e sessuale di Denji, mostrando le ombre di un rapporto molto più complesso di quello che può apparire a prima vista, della voglia di essere amati e dei compromessi che raggiungiamo nelle relazioni con gli altri. 

Quando parlo della (inaspettata) qualità di questo anime mi riferisco proprio al suo riuscire a prendersi i tempi necessari per mostrare personaggi coinvolgenti ma comunque sfaccettati, legati da dinamiche anche complesse e con una loro tridimensionalità emotiva, cosa peraltro presente pienamente anche nel film senza pesantezze. Bastano poche battute per regalare alle new entry delle pennellate sicure che ne mostrano l'umanità dietro le esplosioni, il tutto senza rinunciare alla cazzzima (scritta appositamente con tre zeta) insita nel DNA demoniaco di questo franchise.

Il primo tempo è interamente legato alla scoperta emotiva di Denji, alla costruzione del rapporto con Reze e al suo legame con Makino. Ci si sofferma con così tanta parsimonia sul suo animo da dimenticarsi a tratti di essere in un anime di combattimenti.  

Che ovviamente seguiranno a iosa dopo il colpo di scena piazzato a metà film. 

E saranno cazzissimi, vi avviso.

Vanno spese quindi due parole anche sullo Studio MAPPA, casa d'animazione fondata dall'ex dirigente della Madhouse Masao Maruyama, desideroso di creare una realtà più piccola, flessibile e sperimentale, che negli ultimi anni si è ritagliata il suo spazio nell'Olimpo animato come una delle industrie migliori nel campo dell'animazione - basti pensare al proseguo di Vinland saga o alla run finale di Attack on tytan, conclusione che se non avete apprezzato non avete il cuore dalla parte giusta. Arrivati al punto in cui possono fare lo stracazzo che vogliono, pigiano sul pedale del celodurismo e dimostrano di avere mezzo metro di minchia a oltranza, unica operazione sensata.

La seconda parte del film infatti è un lungo e infinito combattimento dove il senso della logica e dello spazio viene meno. Vi dico solo che l'antagonista vola al suono delle sue stesse esplosioni e Denji affronta il pericolo a cavallo di uno squalo mentre un demone neonato scatena un tifone che investe tutta la città. 

Che volete farci, sono una mente semplice.

Resta il fatto che queste battaglie sono il meglio che si possa chiedere dall'arte animata, così come tutto il film che le procede. Fluidità nei movimenti, mai un momento di pausa, una colonna sonora galvanizzante (di Kensuke Ushio, l'orecchio dietro a Devilman Crybaby e DanDaDan) e un uso dei colori psichedelico che vi immergeranno in un bagno di delirio cosmico banalizzato dal semplice raccontarlo. Per assurdo, c'è una cura esagerata anche nei momenti di raccordo tra una scena e l'altra, segno della cura e dell'impegno profusi dagli animatori. 

E poi quel finale...

Piazzato a tradimento, dopo quella congiunzione all'incipit e a tutti i dialoghi svolti durante la prima parte, tanto da non farvi più guardare un topo come prima, che rende appieno la complessità di un rapporto molto più sfaccettato di quello che il classico battle comporterebbe, restituendo un'amarezza di fondo perfettamente in linea coi suoi disastrati personaggi, mantenendo il ritmo e il divertimento che hanno caratterizzato questa storia fin dal primo episodio.

Nel primo quarto di secolo della mia vita sono stato un vorace consumatore di anime, ho poi diluito di molto le visioni col progressivo incanutirsi dei capelli. Sono ritornato un frequentatore assiduo dei lidi del Sol Levante nell'ultimo anno proprio con Chainsaw man, e posso dire che era da tempo che qualcosa non mi galvanizzava a questo livello.

Puramente a sorpresa, viste le premesse.  

E aver avuto modo di vedere al cinema i personaggi che mi hanno fatto ritornare a un vecchio amore è stata forse la magia più grande di tutte.





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