AVATAR: LA VIA DELL'ACQUA, di James Cameron

Jakesully è rimasto su Pandora a godersi la bella vita e figliare, con l'aggiunta di Kiri, ottenuta inspiegabilmente dall'avatar della defunta dottoressa Augustine, e Spider, figlio del colonnello Quaritch, nato e cresciuto sul pianeta. Dopo quindici anni dalla loro disfatto però gli umani ritornano sul pianeta, pronti a colonizzarlo...

Quella di The abyss fu una delle produzioni più travagliate della storia del cinema. Come set fu usata una centrale nucleare abbandonata che venne riempita con sette milioni di tonnellate d'acqua, costringendo tutta la troupe a lavorare in immersione. Inconvenienti vari causarono la rottura di diverse apparecchiature, prevedibili allagamenti di set e pure degli esaurimenti nervosi tra gli addetti, con tanto di Ed Harris che ebbe un attacco di panico durante le riprese e uscì di fretta dall'acqua solo per prendere a pugni il regista.

James Cameron ha tenuto duro tutto il tempo, nel mentre affrontò pure un divorzio. Ergo, sappiamo già anticipatamente che a lui non possa fregare di meno di quanto possiamo dire sulla sua saga, è troppo intento ad andare per la sua strada.

Ammettiamolo, Avatar è stata una rivoluzione mancata. Un film evento dalla portata incommensurabile e mai più eguagliata... e poco altro. Già l'anno dopo aveva esaurito la propria eco, non è stato la miccia per la rivoluzione cinematografica che doveva essere e il dannatissimo 3D ce lo siamo fastidiosamente portati dietro, in varianti più o meno scrause, come la peggiore e imbarazzante delle mode. Appurato quindi che al canadese fregherà sempre meno dei pareri altrui, viene però naturale chiedersi il perché teletrasportare di nuovo il pubblico dei multisala su Pandora, quando l'avventura originaria ha più di un lustro sulle spalle e il mondo cinefilo stesso sembra essersi dimenticato di quella galassia non così tanto lontana (menzione speciale per la micro sequenza sul finale di Babylon).

Al di là di tutto, nel mentre c'è stata una nuova distribuzione del primo capitolo, che ha riottenuto lo scettro del più grande incasso di sempre scalzando Avengers: endgame, e questo The way of water si piazza subito dopo al terzo posto. Il box office, così come l'Albero della Anime, ragiona secondo strane logiche. James Cameron invece è un quasi settantenne che anziché iniziare ad accarezzare con lo sguardo i cantieri, punta l'asticella sempre più in alto.

Un'altra cosa che piace molto a James Cameron sono le immersioni. D'altronde, Titanic iniziava proprio con la riesumazione del più famoso relitto della storia e diresse addirittura due documentari a tema. 

The way of wather è quindi il totale compendio delle passioni di questo vecchio ragazzino romantico, ovvero il gigantismo esagerato a tutti i costi e la speleologia subacquea, con tutte le creazioni e derivazioni che questa varianti ittica comporta.

Qualunque cosa si possa dire sulla saga di Avatar (e ce ne sono, pure di negative...) rimane la creazione di uno dei registi più estremi, almeno in termini di proporzioni, e come tale ha un suo compendio fondamentale nella storia del cinema, anche se recente. Iniziare a vedere anche solo di sfuggita queste pellicole significa assistere a uno degli ultimi baluardi di un cinema vecchio stampo, dove l'apparato visivo ha la predominanza e che non si risparmia in quei sentimenti classici che hanno reso la narrativa occidentale quello che è. Retorica a palate e zuccherosità sono comprese nel prezzo, certo, tutto però condito col terzo occhio della fantasia e del desiderio di portare a un viaggio che solo il mezzo cinema è in grado di offrire.

Ogni passaggio di questi film sembra una sfida al volersi imprimere a tutti i costi nella mente dello spettatore, tutti i dettagli sono curati all'inverosimile in modo da offrire al pubblico pagante la possibilità di una vera e propria immersione visiva di quel mondo. Non si tratta solo di avere i soldoni a disposizione, quanti film con ambizioni da kolossal si sono visti e dimenticati subito dopo per la povertà del loro immaginario? Con Cameron questo sicuramente non succede, perché i mezzi sono uniti alle capacità e al desiderio del racconto, qualsiasi cosa questo significhi. Per ciò non mi riesce di voler male a questo monumento del cinema che, al di là di tutto, non ha mai perso un grammo di grinta e voglia di stupire infantilmente oltre il limite.

Certo, l'entusiasmo non deve essere una scusa per i difetti che le sue operazioni si portano dietro, soprattutto questa soap opera spaziale, palesatesi prevedibilmente in questo sequel tardivo. Perché se la tua narrazione è una celebrazione dell'archetipo epico, collaudati da una resa visiva rivoluzionaria... proseguire su quella strada può causare degli intoppi. Uno su tutti, la creazione del mondo, ovvero quello che separa una buona opera di genere dal tentativo maldestro, ed è ironico scriverlo di un film di cui si è celebrato l'estro.

Le falle che già il primo capitolo si portava dietro (un mondo dove tutti vivono in una specie di coesistenza buddista, ma dove esiste una specie dominante che può soggiogare mentalmente con una treccia) qui persistono, con l'aggravante che l'estensione del campo della lotta porta con sé tutte queste decantate popolazioni che ti chiedi perché non abbiano partecipato prima vista la minaccia palesatesi in precedenza, o come mai la tecnologia umana in quelle quasi due decadi di assenza non sia evoluta - diamine, persino Terminator veniva aggiornato.

Quello che ne segue è quindi un compendio della vita sopra il mare, con la crasi di un film iper tecnologico che celebra un'esistenza quasi sciamanica, cosa che richiede un minutaggio sempre bellissimo da vedere, ma dove la precedente capacità di riassumere la simbologia epica diventa solo una lenta e a tratti pesante carrellata di simbologia abbastanza stantia e non richiesta. Un lungo minestrone che prepara al grande finale, ma che è inficiato ulteriormente da qualcosa di davvero imperdonabile.

Un cattivo memorabile. 

Quando si ripesca un villain è sempre perché esso deve portare con sé un tratto inesplorato del suo carattere che condiziona la vicenda o che permetta di scoprire un lato nuovo del protagonista. Riesumare Quaritch, che aveva completato il suo ciclo da stereotipo vivente, che miglioria ha apportato? Ve lo dico io, nessuna, e la sensazione è quella di una caricatura del precedente personaggio, come una malattia affrontata dopo che hai fatto il vaccino: forse ti viene la febbre, ma contando che potevi schiattare è qualcosa di passabile.

Qui non è propriamente la stessa cosa, perché Cameron è un grandissimo uomo di spettacolo, sa come raccontare una storia con quello che ha e offre comunque qualcosa che merita la visione, sia nei momenti calmi che in quelli adrenalinici, ma la mancanza di un antagonista davvero carismatico, di un vero ponte tra il protagonista e la parte oscura di sé, rimane e, spiace dirlo, si sente.

Poi sì, la battaglia conclusiva galvanizza incredibilmente come solo a Jimmy riesce, ma da lui è quasi scontato. Pone invece un tono più oscuro e maturo, che piazza la saga su un nuovo tassello. La sensazione di un passo indietro rispetto a quanto avvenne in quel magnifico 2009, però, rimane drammaticamente.

Un bel film, bello nel senso migliore che si possa comunemente intendere, eppure non posso dirmi saturato appieno come avvenne all'epoca. Gli anni passano e le cose evolvono, rendendo più duro resistere agli archetipi o a chi vi ha fatto troppo affidamento.

Ma rimane cinema nella sua forma più pura.

Pertanto, arco alla mano e occhialini 3D sul naso, voi mi troverete sempre pronto a salpare su Pandora e a sperare di averne altri, di viaggi simili. 







Commenti

Post più popolari