RED, di Lucky McKee e Trygve Allister Diesen
Se il buon Cormacchio McCarthy è stato ampiamente sdoganato e ancora oggi molti invocano un Nobel postumo per lui, diversa questione è per Jack Ketchum, nome di culto nel paese stellestrisce, per quanto appartenente a una specifica nicchia. Da noi la nicchia è ancora più ristretta, essendo praticamente sconosciuto ai più, tanto che i suoi titoli giunti nelle nostre lande da impastapizza sono quasi tutti fuori catalogo o di difficile reperibilità.
Quelli del fu Dallas Mayr, questo il suo vero nome, sono libri molto particolari. Erroneamente accostanti al genere dell'orrore, ne fanno in realtà parte solo per una questione di facciata, dato che vanno a ricercare una dimensione quotidiana, quasi silente nel loro iniziare ma che, scavando minuziosamente, riescono a tirare fuori con poco la peggiore bestialità umana. E' così per il suo lavoro più famoso, ispirato non per nulla al delitto di Sylvia Likens, ma ogni suo scritto possiede quella sinistra capacità, grazie anche a una prosa benedetta, di trasportarti nel più abietto degli abissi dopo averti fatto affacciare appena sull'uscio di casa tua.
Altra caratteristica peculiare della sua produzione è proprio, nonostante non disdegni l'America dei margini come ambientazione, quella di spogliare ogni elemento della retorica eroica o epica che spesso accompagna questa scelta di setting, retaggio di una narrativa rurale che ha avuto sbocco dal dopoguerra in poi. Nelle sue novelle, e forse è proprio per questo che spaventano, spesso catarsi e redenzione sono totalmente assenti, solo il nero nichilismo di un'esistenza gestita dal caos e che nella disillusione deve trascinarsi per continuare nonostante tutto a sopravvivere.
Ovviamente, Hollywood ha provato a portarlo dalla sua, con risultati piuttosto discontinui. Troppo estremo e polarizzante per essere adattato fedelmente per il grande pubblico, motivo per cui sono dovute intervenire produzioni indipendenti che lasciassero completa libertà creativa a quei poveretti che avevano deciso di immolarsi nell'impresa.
Il che ci porta a questo film e al suo regista.
Lucky McKee salì alla ribalta a inizio Duemila con May, film di culto tra gli appassionati (e oggettivamente bello, sottolineo) ma che non sono riuscito mai ad amare al pari di altri. Anzi, non sono mai andato particolarmente d'accordo con il lavoro di questo regista in generale, pur riconoscendogli una sua identità autoriale, qui però la faccenda si complica un attimo dato che... il film non è suo. Non completamente.
Come tutti quelli che hanno una loro visione delle cose, McKee dovette subire le ingerenze della produzione, che anche nei progetti piccoli come questo ha sempre modo di rompere le palle, e al posto di un film lento, dalla violenza non scenografica e che, fedelmente al libro, non offrisse una vera e propria risoluzione emotiva, si optò per una scelta più classica.
Via McKee e benvenuto a Trygve Allister Diesen, regista anglo-norvegese che ebbe non solo l'ingrato compito di salpare a progetto già ben che avviato, ma pure di rigirare alcune sequenze e trattare in una maniera più canonica quanto già girato dall'esimio collega.
Operazioni simili nella Terra dei sogni in realtà sono più che comuni, Via col vento ad esempio vide il licenziamento di George Cuckor a causa di alcune tensione con Clarck Gable a favore di Victor Fleming (più una parentesi di Sam Wood quando la nuova opzione si allontanò a causa di un esaurimento), e sua maestà Stanley Kubrick approdò sul set di Spartacus in sostituzione di Anthony Mann. Va da sé però che il regista è la vera anima di un film, l'occhio onniscente che indica allo spettatore dove guardare. e anche di fronte a aventi comuni come questo far quadrare i conti non è mai semplice dato che si parla di due anime per natura diverse che, in quanto tali, offrono una visuale differente della faccenda. Senza scomodare esempi estremi come Justice League, basti dire che rimane piuttosto comune la possibilità che una pellicola ne esca sballata, nonostante la buona volontà dei lavoranti.
Red purtroppo appartiene a questo club...
Senza nulla togliere a un onesto mestierante come Diesen, quello che rendeva speciale la scrittura di Ketchum da Pallet era il riuscire nella sua secchezza a mostrarti il vuoto interiore del protagonista senza mai dovertelo nominare, solo con la pulizia delle parole e arricchendo di particolari significativi la vicenda - per renderci conto della sua bravura basterebbe la sequenza finale di In viaggio con l'assassino. Il libro di Red, piuttosto che un ante John Wick, era una amara riesamina del dolore, dei traumi arretrati e delle loro conseguenze sul presente vissuto dai personaggi, senza retorica o pathos cercato ad ogni costo, unicamente con l'indolente proseguire di giorni decisamente atipici.
Qui abbiamo invece una storia dove tutto questo viene nominato in maniera abbastanza standard e focalizzata principalmente sulla preparazione per la risoluzione dei conti, prima in maniera legale e poi passando ai fatti. Pure Brian Cox, che rimane uno stupendo interprete, dà al suo personaggio una dignità da eroe epico, quando secondo la penna originale era molto più passivo.
Rimane una questione di scelte e di cosa può piacere a chi guarda, ma di questo film dubito avrò memoria da qui a diversi anni, del libro credo che certe sensazioni me le porterò fino alla tomba.
Fortunatamente le strade di Lucky McKee e Jack Ketchum (che fa una breve comparsata nei panni di un barista) avranno modo di incrociarsi di nuovo tre anni dopo in The woman, seguito di The offspring e vera bomba atomica inaspettata.
Per il resto, un film che non so quanto possa far venir voglia di reperire il libro. Quindi, se non vi fidate di Hollywood, ascoltate uno scemo e cercate di accattarvi quanto resta della bibliografia di un autore che meriterebbe di essere riscoperto.










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