#SPECIAL: i MANOWAR sconosciuti



Se penso alla mia adolescenza, non posso che pensare ai Manowar.

Furono quelli che mi iniziarono al metal, il tutto grazie a un ascolto casuale e al fatto che mi piacevano le copertine di due album. Sono stati la band che mi ha accompagnato per tutte le superiori e che è stata parte integrante dei miei ascolti musicali per anni. Ancora oggi, la confort zone dove capito spesso. 

Uno di quei gruppi che ha un significato personale, al di là della vera oggettività.

Perché sì, nonostante il look estremamente trash dei primi Ottanta e gli atteggiamenti insopportabili che hanno sempre fatto parte del pacchetto, sono stati un gran gruppo, non solo per aver posto le basi del sottogenere epic - ma i Virgin Steel non li ricorda mai nessuno? - ma anche per aver creato canzoni che ancora oggi non hanno perso un minimo di smalto dopo decadi.

Poi con l'arrivo degli Anni Zero, come per molti, il vuoto. Così fedeli a loro stessi da diventare la propria stessa parodia. Poi attività live sempre più esigue, annunci prontamente smentiti, l'arresto dell'ultimo chitarrista per possesso di materiale pedopornografico e una serie di sfighe che di epico hanno ben poco. Sulle ultime tracce rilasciate, stendo un velo pietoso...

Però, ebbero la loro gloria.

E tra i vari blood, hail, steel, fight e compagnia cantante ebbero anche alcuni brani, spesso ignorati persino da molti fan, se non quelli più fedeli, e snobbati spesso ai live, che non hanno nulla da invidiare ai loro classiconi e che dimostrano quale grande band sarebbero potuti davvero diventare se solo avessero osato leggermente di più.



The glory of Achilles

Facente parte di quella strana overture che fu Achilles, agony and ecstasy in eight parts contenuta in The triumph of steel, il loro ultimo vero grande album. Il pezzo e l'album sono a loro modo un perfetto riassunto della loro carriera, grandi idee (dovute al fatto di essere usciti dai soliti schemi rodati) mischiate in mezzo a tamarrate - dopo un pezzo simile che ci capa 'na roba come Metal warriors?

Qui diventano epic come non mai, raccontando una storia davvero epica non solo con le parole, ma anche con la musica, dando vera energia e racconto come in quest'ultima parte. Peccato che come loro solito hanno esagerato, allungando troppo il brodo, ma questo finale è davvero bellissimo. E valorizza il cantante Eric Adams veramente.


Heaven and Hell

Ronnie James è Ronnie James. 

Dio, appunto, di nome e di fatto. Della cosa non si discute. 

Al massimo della loro esaltazione però Joey de Maio, con la sua etichetta, decise di creare un tributo all'Elfo della musica rock, facendo figurare il proprio gruppo a rappresentazione della famosa title track del suo esordio nei Black Sabbath.

Il risultato non è male per nulla.


Spirit horse of Cherokee

Abbandonati gli dei norreni per un attimo - e sempre in quella chicca di The triumph of steel, che offre davvero dei pezzi degni di nota - Joey de Maio realizza un tributo alle proprie origini per raccontare le gesta degli antichi guerrieri Cherokee, raccontando con la musica anche qui i tamburi di guerra, il senso di rivalsa e il furore di quel popolo.

Una canzone bellissima e mai abbastanza celebrata neppure dai fan. Sfido chiunque a non gasarsi sulle urla finali.


Defender

Per quanto i defender siano un bruttissima cosa, questa canzone è collegata a questo blog perché la parte parlata è recitata nientemeno che da... ORSON WELLES!

Sempre guerrieri, sempre epicume vario, sempre le solite parole su spade, combattimenti e regnanti, ma questa volta hanno un senso che può accompagnare ognuno di noi, ogni ascoltatore, perché parla del debito e delle lezioni che ogni padre lascia in ognuno di noi.

A suo modo, una canzone bellissima.


Shell shock

Dalle guerre vichinghe per entrare nel Valhalla a quelle vere che portano all'ingresso dei manicomi. 

Al loro esordio sul mercato discografico, i kings mettevano nel pacchetto anche questa Shell shock, slang inglese che indica il trauma post-bellico affrontato dai soldati della guerra in Vietnam, qui espresso a metà strada tra il semplicione e l'incazzatura rock.

Tra l'altro, forse l'unico pezzo ad aver giovato di quel suicidio artistico che fu Battle hymns MMXI, un remix di cui non si capisce ancora il senso dato che la title track rimane quella resa peggio, da un Eric Adams che mentre la cantava doveva essere sotto la doccia a pensare ad altro.


Today is a good day to die

In sé, nulla di particolarmente memorabile.

Tra l'altro, questo album fu l'inizio della fine...

Però dà l'atmosfera giusta e la ascolto sempre quando devo fare un lungo viaggio in macchina. Mi chiedo perché abbiano sempre insistito con quelle pessime parti finto-orchestrali degli ultimi tempi.


El gringo

Facente parte di un album che pure loro si saranno dimenticati di aver inciso, uscito solo in digitale e poi come supporto alla rivista Metal Hammer (wtf?), tanto che al Gods of Metal del 2012, anno dell'uscita, non eseguirono neppure una traccia.

Canzone però carina, forse l'unica con un minimo di verve - e già questo dice tutto... - che si rifà a un altro immaginario, diventando la formula vincente in quella che è diventata un'iconografia e un immaginario oramai stagnante e non più capace di rinnovarsi.

Tra l'altro, canzone realizzata per un film che sembrano aver visto in quattro gatti. Poi dicevate ai Blind Guardian per Uwe Boll...


Touch the sky

Anche questa appartiene allo stesso album della precedente - e si sente. Una canzone che può aver scritto chiunque abbia le minime competenze, strumentazione poco graffiante e un cantante che sembra oramai stufo.

Però che una band simile, così ligia all'auto celebrazione in ogni contesto, per una volta faccia una canzone motivazionale come questa, a tratti quasi spensierata nel dare un messaggio positivo... non so, al di là del risultato, mi mette una strana allegria.

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