DRAGGED ACROSS CONCRETE, di S. Craig Zahler


L'afroamericano Henry Jones esce di prigione, dov'era finito per essersi vendicato dell'uomo che aveva reso tetraplegico  il fratellino,, e scopre che sua madre ha preso a prostituirsi per sbancare il lunario, ergo si fa coinvolgere dall'amico Biscuit in un traffico poco chiaro. Nel frattempo, i poliziotti Brett e Anthony sono esonerati dal servizio per sei settimane perché ripresi mentre usavano metodi poco leggeri per incastrare uno spacciatore e...

Con calma e senza clamore, Zahler è arrivato a fare il tris.

Purtroppo non mi fa strano che lui sia ancora, soprattutto da noi, relegato a una tale nicchia, perché il suo rimane un cinema asciutto, essenziale, che non accetta compromessi e che non rinnega la propria natura in nessuna occasione, come ha dimostrato con questo terzo capitolo della sua carriera.

È proprio questo il motivo per cui il nostro non potrà mai vantare un grosso pubblico, e quelle che a certe occhiate potranno risultare come delle pecche, per altre sono i pregi che fanno amare un autore e una sua visione. Specie in un'epoca come questa, dove ci si deve muovere in punta di piedi per paura di offendere qualcuno (anche se ritengo che coloro che si lamentano del politicamente corretto imperante siano solo estremisti che vogliono giustificare le loro bestialità) lui fa il suo cinema crepuscolare, di (anti)eroi stanchi e tempi brutali, cose che possono un ciccinino far cadere l'accusa di maschilismo e fascismo, se visto con la volontà di far polemica.

Abbandonate le atmosfere survival horror di Bone tomahawk e il pulp esagerato a tutti i costi di Brawl in cell block 99, Super S fa un passo indietro, verso un cinema sicuramente più convenzionale e che fa a meno delle sparate (ahahah!) che hanno caratterizzato le sue pellicole, abbracciando una certa narrativa che fu di Bunker o Chandler, immettendola nel neo-noir degli ultimi anni. D'altronde, Zahler iniziò, oltre che come musicista metal, come scrittore di genere.

Ma tutto quello che riguarda l'America è i suoi sobborghi finisce, inevitabilmente, per essere collegato al Western e al suo senso di ineluttabilità. Così come lui aveva iniziato dietro la macchina da presa. 

Non so se tutto questo è stato dalla richiesto dalla produzione, che oltre a due vecchie conoscenze ha saputo anche raccattarsi dei nomi di tutto rispetto per il cast (ciao Mel, ancora intento a fare sparate antisemite?), o se faccia parte di un percorso autoriale specifico, fatto sta che inizialmente può stranire un attimo, sapendo chi si nasconde dietro la macchina da presa, ma a lungo andare tutta la grinta di Super S si fa notare grazie a quelle miscele di splatter e violenza estrema che hanno caratterizzato i suoi due film precedenti.

Ritorna però alle proprie origini su celluloide perché, a differenza del precedente menatutti, fanno di nuovo capolino delle tematiche sociali, trattate però dietro la sottile linea rossa che caratterizza i suoi stessi personaggi.

Non sono ancate polemiche per certi commenti rivolti alla comunità afroamericana ("Non avrei mai creduto di diventare razzista prima di vivere qui", dice una delle comprimarie) così come quella relatica alla figura della donna, qui davvero messa ai margini e che ogni volta che tenta di avere parte attiva fa una brutta fine, ma tutte cose che sinceramente vedo inevitabili in ambienti ostili dove il dominio maschile è onnipresente. Così come il razzismo, che non è mai appoggiato ma, anzi, condannato, anche attraverso delle provocazioni così sottili che forse avrebbero meritato un capitolo a parte - tipo il colorarsi la faccia per un colpo, cosa da non sottovalutare ai fini della trama e degli appellativi.

Per il resto, i personaggi sono dei perdenti che non riescono a stare dietro a un mondo che prima li mastica e solo dopo aver tentennato un poco li sputa, spesso su superfici ancora più luride. E spesso le azioni, quando operi così ai margini, sfuggono anche dalla comune logiche che altrimenti le potrebbe benissimo condannare.

Nessuno in questo film è lindo fino in fondo e quelli che possono vantare un simile primato sono i personaggi più sottomessi e inguaiati fin dal principio. Perché, come testimonia il videogioco a cui giocheranno alla fine, questo mondo è un safari e bisogna andare a cacciare i leoni.

A chi non riesce di stare dietro questo semplice meccanismo, spetta solo di essere trascinato sul cemento di una civiltà marcia all'interno.







Commenti

  1. Chiosa finale da applausi, Zahler non prende prigionieri, se ne frega di offendere qualcuno in un momento in cui siamo tutti (anche giustamente) iper sensibili a tutti, sembra precipitato da un altro periodo storico e forse ne abbiamo anche bisogno di uno così. Cheers!

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    1. Per stare in tema con la tua rubrica, un Sam Peckinpah del metal 😬

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  2. La convenzionalità, ciò mi ha un po' deluso, Zahler comunque continuerò a seguire nel suo percorso cinematografico, che spero ritorni brutto e cattivo ;)

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    1. Che poi è una convenzionalità solo apparente. Come l'invitato indesiderato che alla festa sta buono, solo per slacciarsi la cinta nel momento meno opportuno 😂

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  3. Lo recupererò. Era a Venezia due anni fa ma non lo vidi a causa della lunghezza non comune che mi precludeva altre visioni... e poi anche perchè tutti lo bollavano come film reazionario e fascistoide. A questo punto sono curioso!

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    1. Chi lo ha definito "reazionario e fascistoide" andrebbe crocifisso in sala mensa...

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