DARK NIGHT, di Tim Sutton

Scorcio di vite vuote e insoddisfatte, pochi giorni (ore?) prima che un terribile disastro si abbatta su quella inconsapevole comunità.

Che l'America abbia un qualche problema con le armi è cosa ben risaputa. Poi basta ricordarci che qui da noi qualcuna disse che, in quanto donna, non può amare i western perché la pistola è un prolungamento del pene...

Le cronache della democrazia emersa però non mentono.

Il caso più famoso fu l'assalto alla Columbine High School di Denver (Colorado), dove Eric Harris e Dylan Klebold uccisero dodici studenti e un insegnante con delle armi comprate tramite una loro amica maggiorenne, per poi suicidarsi dopo quarantacinque minuti dall'apertura del fuoco. Da quel che ci è dato sapere, i due ragazzi stavano vivendo una profonda depressione, condita con un isolamento da parte di molti gruppi della scuola e una loro palese incapacità di integrazione.

Il secondo, al quale il film si ispira, è sicuramente il massacro di Aurora (to', ancora in Colorado...) che avvenne in un multisala nel 2012 mentre si teneva la proiezione di The dark knight returns di Nolan. Lì James Holmes, che si pittò i capelli di arancione per emulare il Joker (?) uccise dodici persone. Secondo i conoscenti, Holmes era una persona tranquilla, anche se la sua carriera universitaria aveva avuto un improvviso e inspiegabile freno. Leggenda vuole che, appena l'arrestarono, chiese agli agenti come fosse finito il film...

Sono due fatti sicuramente celebri, ma che al loro interno racchiudono l'anima stessa di un paese piuttosto strambo. 

O di tutti i paesi, anche...

Sono due storie di solitudine, di persone incomprese che sono sprofondate nel baratro senza più riemergerne, nella più tragica delle maniera, decidendo di portare gli altri con loro. Due sono morti a loro volta, l'altro sta scontando dodici ergastoli, uno per ogni vittima, più altri tremila anni di carcere per gli altri 141 capi di imputazione. E con questo non voglio giustificare loro o quello che hanno fatto, ma far presente che ogni avvenimento porta dietro una storia e che ci si dovrebbe concentrare anche sulla cause dei disastri che avvengono.

Che è quello di cui parla il film, tra l'altro...

Il regista Tim Sutton mette il piede in tutte e due le scarpe, e se il titolo richiama il massacro di Aurora (Dark night suona molto come Dark knight), lo stile è sicuramente molto debitore a Elephant di Gus Van Sant, che proprio della Columbine parlava.

Si tratta di un film indie, così indie che va a ballare da solo e balla con degli interpreti, i classici "presi dalla strada", ai quali però è chiesto di portare tutto il film sulle loro spalle. Non si tratta di personaggi con una grande scrittura, abbiamo quello che soffre per una ragazza che non lo caga di striscio, poi il responsabile di un crimine non ben specificato che fa le visite dallo psichiatra, fino agli sk8er gonzi e la ragazza fissata con i selfie. Tutti loro non portano avanti nessuna storia, se non quella che hanno già, ma nella loro semplicità ci regalano delle scene magnifiche, che esprimono tutto il disagio che si trascinano appresso. Sembra essere già annunciato che succederà un disastro, ma il vero disastro lo abbiamo sotto gli occhi ogni giorno.

Più che gli interpreti, i veri protagonisti sono gli ambienti, quelle zone cittadine che sono state raggiunte e poi abbandonate dal sogno, lasciando il tutto sospeso in una sorta di limbo che porta a un inevitabile vuoto interiore e di vita. E proprio quel vuoto sembra essere la panacea di tutti i mali.

Non si tratta di un film perfetto. La struttura è fin troppo debitrice col capolavoro di Van Sant, tanto che adotta addirittura la soggettiva a videogame (stavolta con uno screen di Google maps, vivaddio) e il ritmo generale è così lento che i 70 minuti di durata finiscono per pesare infinitamente. Anzi, tutte le storie sembrano esistere solo per portare alle magnifiche scene di cui sopra, cosa che non sempre paga in efficacia.

Ma è il finale che lo riscatta.

Col rischio di farlo diventare più interessante che bello, ma si tratta di un colpo da maestro che spiega il perché di tutto quel disagio.

Il massacro avverrà in un cinema, come suggerisce la maschera di Batman presente a una certa (che poi, una metanarrativa che adoro!) dove trasmettono una pellicola: Dark night, appunto.

Siamo noi gli spettatori e siamo sempre noi che potremmo essere gli assassini, qualora i nostri lentissimi settanta minuti finiscano con l'essere troppo per una realtà che non ci vede o ci vuole ostentatori di felicità, mentre il mondo prosegue fregandosene di tutto e di tutti.

Ma dietro il tutti ci sono facce che raccontano la loro e che potrebbero deragliare nella peggiore delle maniera. E forse, un giorno, potrebbe esserci a che la nostra.





Commenti

  1. Mah. A distanza di anni, continuo a restare della mia idea. Film (forse) interessante, neanche troppo (quanti ne sono stati fatti sullo stesso tema?) ma soprattutto... due palle cosììììììììììììììììììììì :)

    Lo vidi alla Mostra di Venezia, mi ricordo una dormita colossale.

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    1. Ahahah 😂🤣 sì, i 70 minuti si fanno sentire tutti in effetti 😅 però la riflessione finale mi ha davvero colpito...

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  2. Penso che se mai decidessi di vederlo, potrei correre il rischio di avere due "Dark (k)night" con cui avere un bizzarro rapporto, in ogni caso grande post ;-) Cheers

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  3. Non è quel tipo di cinema che apprezzo particolarmente, soprattutto quando non succede niente, come in questo caso, ricordo di essermi addormentato per alcuni minuti..

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