BLUE RUIN, di Jeremy Saulnier

Dwight vive alla giornata come senzatetto, la malinconia onnipresente negli occhi e dormendo nella propria macchina - la Blue ruin del titolo. Quando viene a sapere che la persona che ha ucciso i suoi genitori è uscita di galera, deciderà do farsi giustizia da solo... ma la sua azione scatenerà una serie di conseguenze sanguinose.

Per quanto sia giunto in quel ristretto gruppo di "tizi da tenere d'occhio", la vita cinematografica di Jeremy Saulnier non è stata tutta pizze e fichi. 

Esordì nel 2007 con la commedia horror Murder party che non solo fu vista quasi unicamente da sua mamma e sua nonna, ma fece anche abbastanza schifo anche a loro, rischiando di mettere una pietra tombale sulla sua carriera di regista. Seriamente, lo stesso Saulnier ha dichiarato più volte che dopo quell'esperienza non sapeva nemmeno lui se avrebbe continuato a girare film.

A fargli cambiare idea fu proprio l'amico Macon Blair (che qui interpreta il protagonista), che organizza un project proprio per tirare su il morale al proprio pal, facendogli scoprire il meraviglioso mondo di Kickstarter. Così, unendo quella campagna di finanziamento insieme ai risparmi di famiglia, cinque anni dopo il nostro è riuscito a realizzare la propria opera seconda, quella che ha dato il via definitivo alla sua carriera e che lo ha reso un ospite abituale al Festival di Cannes, dopo questa rinascita artistica fu salutata con scrosci d'applausi.

In pratica, la vita al contrario di Richard Kelly - tra l'altro, che fine ha fatto?

Il Blair Macon project è il classico film che può far presa su di me. Non so quanto posso essere obiettivo nel valutare titoli simili, ma datemi protagonisti tormentati, ambientazioni sporche, questioni sanguinarie e contesti che prendono a piene mani dal western, e avrete sicuramente la mia attenzione, ma mia curiosità e forse anche il mio codice PIN. In Blue ruin ci sono un po' tutte di queste cose, unite al tema della vendetta, che non passa mai di moda. 

Siamo comunque americani, non coreani, quindi non aspettiamoci una cosa troppo filosofica o iper estetizzante. Per quanto possa apparire atipica a una primissima occhiata, si tratta di una vendetta molto terra terra, e per quanto risulti un revenge movie in tutto e per tutto, lavora di sottrazione per quasi tutta la propria durata, pur non lesinando sulla violenza, spiegando in maniera graduale tutti i tasselli che hanno portato a quella follia. 

Non è tanto la vendetta in sé, che offre dei punti morti molto larghi, ma la concezione di un uomo qualsiasi, non a suo agio o in confidenza con le armi, che deve imbracciarne diverse per mettersi alla pari coi propri aguzzini, di pari passo nella maniera in cui i fatti salienti del passato vengono rivelati.

Cosa resta alla fine dei partecipanti a quel gioco del massacro, se non il prevedibile finale che moriranno tutti? E' proprio il senso di sconfitta, comunque vadano a finire le cose, che caratterizza questa pellicola. Non c'è il raggiungimento salvifico de Il gladiatore o la scoperta di sé tipica del cinema coreano, che si contrappone alla propria filosofia buddhista. Il film di Saulnier spalma una bella zaffata di merda su tutto quello che tocca, e anche il raggiungimento del fine ultimo appare poca cosa dinanzi alla miseria umana e morale che mostra.

Saulnier ci sa fare, ma va ricordato che tutto questo è nato grazie anche a Kickstarter e mostra anche tutti i limiti di una produzione indipendente su alcuni fattori, per quanto sembri un film uscito da una "casa produttrice seria" per quanto riesce a essere convincente fin dai primi minuti. Ci sono alcune scene d'azione un po' goffe (pugni che non fanno rumore e un disarmo molto wtf), ma è tutto quello che ci sta intorno a fare il grosso, sopperendo ogni mancanza.

Se volete il sangue, sarete in minima parte accontentati. Se volete una risoluzione avvincente, no. C'è tutta la goffaggine dell'uomo qualunque dinanzi al baratro e la sua accettazione di non poter cambiare le cose, particolare che rende la pellicola forse uno degli esempi più originali nel suo genere - in occidente, almeno. E un attore protagonista che con poco riesce a far percepire tutto quello, con una fisicità che da sola dà già metà del risultato.

Poi rimane solo il buio, quello in cui si incamminerà l'unico superstite con il peso della propria presenza nel mondo. L'unica certezza, è che non sarà un'esistenza felice. Nessun lo è mai stata e l'amore non salva proprio da nulla.

Angolo shampisti: questo film inoltre conferma anche quanto una persona cambi con o senza barba. Non ne sono sicuro, ma forse c'è un livello di lettura pura in questo...







Commenti

  1. In tre, io ho visto Murder party, insufficiente ma con un suo perché, da questo tuttavia mi aspetto qualche cosa in più, e pare che ci sia ;)

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    1. Questo ha sicuramente qualcosa da dire ;) e "Green room", quello dopo, tecnicamente è una cosa assurda.

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  2. El Diablo - Finalmente qualcuno mi ha spiegato da dove deriva il titolo del film, pur avendolo visto varie volte non ci ero proprio arrivato!Probabilmente Green Room gli è superiore ma rimane comunque un'opera molto valida, cupa e senza speranza al punto giusto come piace a me.Mi è rimasto impresso il personaggio dell'amico darkettone, scoprendo poi che era il fratello maggiore di Kevin in Mamma ho perso l' aereo.Sul discorso barba non saprei, sicuramente all'inizio è molto più selvaggio. Hola Jean!

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    1. Oddio, quella del blackster non la sapevo 🤣 "Green room" più che altro ha un budget degno di questo nome. Saulnier la tecnica ce l'ha!
      Vedremo cosa ha combinato per Netflix invece...

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