JO PIL-HO: L'ALBA DELLA VENDETTA, di Lee Jeong-beom

Il poliziotto corrotto Jo Pil-ho vivacchia allegramente tra il suo lavoro lavoro di gestore dell'ordine e qualche affaruccio poco legale per arrotondare. Le cose cambiano drasticamente quando si ritrova coinvolto in un complotto più grande di lui, che lo costringerà a far emergere la sua umanità, ancora scottata da un vecchio fatto...

Tra tutte le cose che Netflix poteva fare, beccami gallina se immaginavo l'approdo di Lee Jeong-beom sulla tanto discussa piattaforma.

Diciamolo chiaramente, non è proprio il più popolare tra i registi coreani, e quando non metti di mezzo incesti, ultraviolenza assortita e altre prelibatezza di questo genere, il rischio di non essere riconosciuto all'altezza dei tuoi conterranei dai cinefili dell'internet è piuttosto alto. Per fortuna ci sono ancora cinefili che mettono il cuore prima dell'efferatezza, e non è che il nostro ne sia proprio sprovvisto. E che la sua sia una scrausa media dovrebbe far capire di cosa sono capaci questi orientali...

Il "Lee buono" è un ottimo tecnico, ma soprattutto un cineasta con un'impostazione rivolta verso un pubblico il più possibile occidentale, e nel suo silenzio stampa un film come The man from nowhere ha avuto un discreto successo anche qui da noi. Nella stessa indifferenza generale però è passata questa sua produzione per matrona Netflix, e forse il suo essere così west-friendly ha giocato diversi punti nella sua assunzione.

Però, davvero... qualcuno di voi ha sentito parlare di questo film?

Non che ci sia da stupirsi, il canovaccio è grossomodo sempre lo stesso: una storia che di orientale ha solo l'etnia degli interpreti e il lato del guidatore - infatti, aggiustando nomi e alcuni microscopici dettagli, sarebbe stato uno script che si sarebbe potuto produrre comodamente anche da noi in occidente. Però tutto si svolge con una classe e una gestione del ritmo e dei personaggi davvero notevole, che è quello che impreziosisce il cinema del nostro.

Ricordiamolo, casomai ve ne fosse bisogno, che essere alla portata di tutti non sempre è un disvalore, e che il cinema commerciale non è per forza un male. Questi film infatti possono essere compresi da chiunque e sono fatti per avere un bacino d'utenza il più alto possibile, ma sono comunque ottimi.

Sfido davvero a trovare un prodotto di consumo che non si prenda troppo sul serio e che riesca a inserire con lo stesso equilibrio momenti più cazzari insieme a quelli più drammatici, o a un protagonista guascone quanto basta senza che sembri un completo imbecille già dai primi minuti. Lee Jeong-beom porta a casa il risultato senza strafare e mettendo nel mezzo pure una piccola e velata critica alla società coreana.

Perché se quello della polizia (che sia corrotta o totalmente inefficiente, questo si dice a causa del poco lavoro che effettivamente hanno) sembra essere un tema sociale molto comune in quelle parti d'oriente, lo è anche lo strapotere che le classi sociali più abbienti riescono ad ottenere. Jo Pil-ho parla anche di questo, inserendolo nelle ultima battute della storia come scioglimento della matassa di intrighi che si ritroveranno a rivelare al mondo. 

Lee Jeong-beom è un Luc Besson (non solo perché la sua precedente fatica ricorda così tanto Leon) che ci ha creduto un po' di più ed è rimasto fedele alla propria anima pulp, senza imbarcarsi a tutti i costi in produzioni fallimentari già sulla carta, perché quello che vuole offrire è proprio l'avventura dei vicoli più sporchi di Caracas, con questi personaggi borderline che, anche se non del tutto malvagi, non ci penseranno due volte a sporcarsi le mani di sangue per quello in cui credono.

Nel mezzo intrighi, azione diretta bene come solo gli orientali sembrano capaci, e l'assenza di quell'aura estetizzata a tutti i costi che ha decretato il successo di molto cinema di quelle parti.

Forse è proprio questo che ha impedito a un regista così capace ma allo stesso tempo umano di decollare veramente, ed è anche per questo che non smetterò mai di consigliare il suo cinema a chi è interessato a scoprire cosa è in grado di offrire il panorama coreano, in special modo che adesso si può vedere questo suo film su Netflix.

Sarà forse una vincita di poco conto, ma ditemi... vi siete appassionati al cinema con Quarto potere o da piccoli di Jurassic park? Stessa cosa per Lee Jeong-beom. 

O il "Lee buono", che dir si voglia.






Commenti

  1. Non conosco, eppure The man from nowhere in effetti qualcosa mi dice, ma ricordo poco, comunque questo nuovo è interessante ;)

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    1. Sono due film estremamente derivativi entrambi, ma fatti con classe e intelligenza, tanto che non ti accorgi di guardare le avventure di due stereotipi con le gambe.
      Per me meritano più visibilità.

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