SMILE, di Parker Finn

La psichiatra Rose Cotter è ossessionata dal trauma infantile di quando vide la madre morire di overdose. La sua indaffarata vita ha una indesiderata e spiacevole svolta quando una paziente, dopo averle espresso un proprio delirio paranoide, si suicida davanti a lei... non prima di essersi pietrificata in un inquietante sorriso. Che ci sia qualcosa sotto? Magari di sovrannaturale?

Ci sono cose imprevedibili che fanno giri immensi e poi ritornano e Smile è una di queste. Partito da un corto di Parker Finn, è stato scritturato per diventare il suo esordio ufficiale, ma destinato a una piattaforma tipo Shudder.

Tra ritardi per la pandemia e tutto il resto, per chissà quale strano motivo è stato destinato alla sala e ha accattato il raccattabile. Costato una miseria, ha racimolato dieci volte tanto.

Certo, il merito è stato anche di un battage pubblicitario che non si vedeva dagli anni Novanta, collimato in video divenuti virali e girati in uno stadio dove, tra la folla, si vedevano dei figuranti imitare lo stregatto, con tanto di sorrisone che è il marchio di fabbrica del film.

Per inciso, è l'horror che io e la signor Jean Jacques abbiamo skippato per vedere See how they run.

Per ri-inciso, mentre tutti "gli intenditori" lo hanno cassato come robetta, decantandone però il finale, a noi ha attizzato parecchio, salvo farci cascare le pudenda nella conclusione.

E diciamolo pure, Smile non è nulla di miracoloso, ma dimostra meglio di tante altre cose come spesso sia preferibile una strada lineare e già percorsa, ma realizzata con classe innata, che il cercare di dover stupire a tutti i costi. Come anziché cosa, che sono una mente semplice e una maledizione gettata ad cazzum durum mi basta e avanza.

Ovviamente chi racconta deve essere convinto quanto me e Parker Finn ha la cazzimma giusta.

Non dice nulla di nuovo ma lo dice così bene da farti dubitare sia davvero un esordiente. Un ritmo lento ma inesorabile, ogni inquadratura la giusta angolazione e, cosa non scontata, si affida a dei caratteristi degni di nota - cosa che dovrebbe essere ovvia vista la caratteristica del sorriso, ma poi ci arriviamo.

C'è infatti una scena madre interamente dominata da Caitlyn Stasey che si mangia tutto il film tanto la gestione degli spazi, del ritmo e, soprattutto, dell'attrice, riesce a imprimersi nella memoria. Dopo è tutto un calando perché oggettivamente si inizia troppo col botto, ma la tensione rimane palpabile per tutta la durata. E già questo, contando la fallacità del soggetto e l'inesperienza dell'autore, non è cosa da poco, contando anche che pure i jumpscares mi sono sembrati gestiti molto bene - due praticamente imprevisti e d'effetto.

Ma soprattutto la struttura horror serve a portare avanti un tema che dà un minimo di spessore alla protagonista e una personale identità alla tematica del film. Nulla di miracoloso, come sempre, ma ho apprezzato... anche se è proprio qui che casca l'asino, sorridente o meno che sia.

Perché il guaio dietro l'angolo che attende ogni autore esordiente è il #MOMENTOSPIEGONE, per un film che qualcosa sottolineava già nel suo naturale scorrere (fate molta attenzione al momento con la Stasey) ma che poi reitera creando un gran casino.

Mi viene davvero da chiedere se c'era davvero bisogno di dare tutte quelle info sul mostro e sul suo modus operandi, quando sembrava essere già tutto abbastanza chiaro, creando però un casotto con la figura della protagonista e con la sua elaborazione del lutto - o del senso di colpa? Tutt'e due? E gli altri allora?

Il che ci riporta al sorriso...

In tempo di Obbligo o verità non è nulla di nuovo, ma c'è, esiste, è di uso comune e scardina qualcosa che nel quotidiano dovrebbe avere una funzione rassicurante. Proprio per questo, pur non brillando di originalità, funziona e dona al film un'aura morbosa che punta più a suggerire che a confermare tante cose. E finché rimane in questi lidi, il film funziona benissimo.

Come spesso succede è quando si cerca di dare forma a ciò che non è intellegibile che il castello di carte capitombola. 

Il mostro finale non solo si porta dietro un gap logico incredibile, ma è davvero brutto a vedersi e tutto il pathos che quel confronto ultimo dovrebbe portarsi dietro, svanisce non appena lo inquadrano così platealmente, quando - Jennifer Kent insegna - il solo mostrare appena, accennare e sottolineare coi personaggi la sua natura altra risulti molto più efficace. 

Poteva essere un discreto colpaccio ma, dopo una partenza a tutta birra, si arrotola su sé stesso, anche se la scena finale è mostrata con la classe sfoggiata nei suoi momenti migliori. Un peccato, perché fino a una certa ci avevo creduto più del dovuto.

Comunque, incassare ha incassato.

Finn qui, tutto bene - lol. Solo, cerca di non frequentare brutte compagnie e regalaci il top che ho intravisto. 






Commenti

  1. A me è piaciuto davvero molto. sarà che l'ho visto al cinema, sarà che il mio umore non era dei migliori, ma mi aveva coinvolta parecchio, soprattutto ho apprezzato tantissimi l'interpretazione della protagonista, anche se la migliore è l'attrice che già aveva partecipato al corto.

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    1. Ma fino a una certa è piaciuto molto pure a me. Però quando si spostano dentro la catapecchia è quasi tutto da buttare...

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  2. Pensa te che inizialmente non volevo vederlo perché ho sentito la parvenza di un "Obbligo o verità" che comunque non guarderò mai. Averlo visto mi ha fatto salire l'interessa a guardare "Malignant" che dicono gli sia affine.


    Comunque "It Follows" è due spanne sopra.

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    1. "Malignant" ancora manca, per quanto Wan non mi faccia impazzire.
      E sì, nonostante l'indifendibile scena della piscina i follower hanno tutt'altra atmosfera.

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  3. Carino si, meglio di quanto mi aspettassi. Certo, dopo un pò manda tutto in vacca ma alla fine lo salvo .

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    1. Infatti l'ho visto come un "vediamo come va". Spero Finn possa evolvere bene 🤓

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