MAQUIA - DECORIAMO LA MATTINA DELL'ADDIO CON I FIORI PROMESSI, di Mari Okada

La razza umanoide centenaria degli Iorph vive lontana dalla civiltà, tessendo uno speciale tessuto sul quale scrivono le cronache del tempo che passa. Quando il vicino regno di Mezane manda dei guerrieri in armatura, la giovane Maquia si troverà a...

Trovarti di fronte a un film come Maquia, detto anche Sayonara no Asa ni Yakusoku no Hana o Kazarō (salute!), ti coglie leggermente in contropiede. Innanzitutto perché non ne avevo mai sentito parlare, eppure in patria è stato un piccolo fenomeno culturale, e questo mi fa ricordare che ormai ho scoperto la figa sono dieci anni che mi interesso relativamente poco agli anime; dall'altra, pur essendo un'opera estremamente lineare, è così piena di temi e suggestioni da lasciarti a fine visione con uno strano blocco al petto e nella testa.

Poi scopri che la regista è stata la sceneggiatrice di quella botta di allegria chiamata Ano hana e ti spieghi tutto... 

Mari Okada, da non confondersi con Mari-oh Monti, è una delle voci più interessanti e prolifiche degli ultimi anni nell'ambito dell'animazione nipponica. Il suo contributo va dalla qualunque, da robe come Rozen Maiden e Toradora!, fino a Black Butler e Aria, facendosi perdonare quella stana svista di Aquarion Evol - sì, hanno tratto un seguito da quel plagio di Evangelion. Questo è il suo film d'esordio come autrice completa, dopo aver iniziato a contribuire dal 2015 anche alle sceneggiature per i lungometraggi.

Inizialmente doveva essere di tutt'altro genere poiché, dopo essere stata posta sotto l'ala protettrice del regista Tetsurō Amino (quello di Let's & go!), in seguito all'affermazione come sceneggiatrice prima videoludica volle proporre un soggetto su una serie ispirata alla sua adolescenza, segnata dal bullismo e dalla vita da hikikomori. Si dice che molte tematiche siano finite, oltre che nelle altre opere da lei curate, anche in questo film.

Nella mia vita sono stato un gran consumatore di anime e fantasy, arrivando pure a scriverne anche per "lavoro" su diversi siti. Va da sé quindi che ci tenga a una certa meticolosità in specifiche questioni che ne riguardano la vera essenza. 

Il fantastico nacque dalle leggende e prese linfa grazie a quanto le fiabe europee avevano plasmato nella cultura occidentale. Ma tra la fiaba e la letteratura fantastica, ancor prima dell'input tolkieniano, ci sono diverse questioni da rispettare.

La fiaba infatti non ha una vera e propria cronologia (riconducendo al famoso c'era una volta...) così come una geografia sufficientemente dettagliata; fungeva perlopiù per una funzione educativa e doveva avvertire degli orrori del mondo ancora prima che i fasci si lagnassero del politicamente corretto. Il fantasy deve, per farla breve, costruire un mondo credibile che rispetti delle leggi interne e le loro reazioni di causa-effetto.

La sintesi più famosa e recente di questo equilibrio è Il castello errante di Howl di Miyazaki, e della poetica dello Studio Gjibli questo film è la versione sotto steroidi a forza dei continui rimandi grafici. Il tratti morbido, l'accuratezza quasi esasperata dei fondali e le animazioni fluide, a tratti davvero allo stato dell'arte, sono sicuramente un valore aggiunto per un'opera lenta, che si prende i suoi tempi e pregna di tematiche importanti.

Certo, gli erranti non son perduti e non è tutto oro quello che brilla, perché molte cose durante la visione lasciano a dir poco perplessi. Innanzitutto, questo voler riferirsi alla fiaba pur immettendo sporadici dettagliati circa la costruzione del mondo, facendo perno su una mitopoiesi davvero scarna che lascia in sospeso più di una questione, a cominciare da degli intrighi politici lasciati davvero all'acqua di rose. Certo, non erano il fine ultimo, ma perché addentrarsi in essi se totalmente ignorabili, alla fine?

Senza contare la fantasmagorica questione della "malattia dagli occhi rossi", che ha il solo scopo di far schiumare un drago a inizio film affinché la nostra Maquia si isoli dal tutto. Ecco, questo è una pigrizia narrativa che, piazzata proprio nei primi minuti, non è proprio un grandissimo biglietto da visita, anche perché avrà pochissimo impatto su quella che sarà l'economia narrativa a storiografica del racconto.

Siamo quindi di fronte a un film decisamente ambizioso negli intenti ma che, in corso d'opera, mistra il fianco più di una volta.

Ma sapete una cosa?

Credo che quel senso di pesantezza descritto a inizio articolo sia secondo solo all'incredibile tristezza che mi è rimasta a fine visione. Pertanto se siete inclini al vitellismo, state alla larga da questo film se non volete trasformarvi in fontane. 

Makoto Shinkai ne ha tessuto gli elogi e, per quanto io non sia proprio un fan dell'autodidatta, devo dire che al netto di tutti i difetti migliorabili, dopo averci dormito sopra qualcosa mi è rimasto. Più di qualcosa, aggiungo.

Credo che se l'intento di un film è quello di renderti triste e ti lascia addosso una vera melanconia, senza scadere nel ridicolo o apparire dozzinale nell'esecuzione, allora ha in gran parte raggiunto il proprio intento. La Okada poi non imbelletta nulla, fa apparire il mondo con tutte le cose brute che caratterizzano l'umanità, nel suo film hanno ampio spazio xenofobia, violenza, politica d'oppressione e incomunicabilità tra gli uomini... e su  questi si sofferma con una strana e personalissima grazia, delineando personaggi grezzi ma efficaci nel mostrare i vari lati umani che compongono lo spettro dell'Uomo (inteso come essere umano) e della sua evoluzione.

Cosa rende un essere umano tale, alla fine?

La capacità di amare nelle sue varie forme. 

Mari Okada ce lo mostra senza stucchevolezza e dosando bene il dramma, inscenando un rapporto umano complesso e sfaccettato che attraversa le fasi dell'esistenza. Un film significativo e delicato nel mostrare cose grandi, a loro modo, per quanto possa esserlo ciò che riguarda tutti. 

PS: io capisco l'esigenza di un adattamento fedele all'originale, ma una specie rettiliforme alata affetta da gigantismo chiamata renato nun se pò sentì...






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