IL BUCO, di Galder Gaztelu-Urrutia Munitxa

Siamo in una prigione su molti livelli. Al piano 0 v'è una cucina, dove si realizzano le cibarie che verranno messe su una piattaforma che deve nutrire tutti, lasciando i rimasugli a chi sta più in basso. Goreng, volontario per una sperimentazione, decide di passare sei mesi nella prigione in cambio di un attestato di permanenza e...

Anche questa volta, la tanto discussa piattaforma ci regala un film che avrebbe fatto sicuramente molta fatica a farsi notare fuori dai circoli degli appassionati. Perché El hoyo è un film che ha tutte le carte in regola per farsi disprezzare da una gran parte del pubblico generalista, e invece viene proposto proprio da quello stesso servizio in streaming che di quel genere di audience è un po' il portabandiera ufficiale.

Specifico sempre: non prendo bustarelle da Netflix, ma credo che ormai, a questo punto, qualunque discorso in merito sia da ritenersi oramai obsoleto.

Tra l'altro, poi, rendiamoci conto che insieme a Lasciami entrare questo è il film col titolo più similare a un porno che esista.

Comunque il buon Galder Gaztelu-Urrutia Munitxa (salute!), dopo anni passati tra pubblicità e cortometraggi, vede il proprio film d'esordio approdare al mondo intero grazie al servizio streaming e lascia intendere che la sua potrebbe essere una voce in grado di fare grandi cose e quindi da tenere d'occhio. Certo è che si tratta di un esordio e che, in quanto tale, secondo la legge dei grandi numeri, non tutto è panna cotta quello che suona succulento, ma già qui si vede prova di un talento non indifferente.

A suo sfavore arriva il fatto di una saturazione di prodotto distopici (è distopici, porca vacca, dispotico sono io la mattina quando non ho ancora preso il caffè!) post Hunger games che hanno saturato qualunque tipo di narrativa negli ultimi tempi, ma resta il fatto che qui non si dice nulla di nuovo ma lo si dice bene, cosa che spesso vale più di mille novità.

Anche il cibo è stato preso di mira in tutte le forme nella narrativa, da Hirchcock che ne ha fatto proprio una summa di linguaggio a perfino Alina Reyes che ne fece pure dello sperimentalismo erotico col libro Il macellaio - e qui Grimaldi ne trasse davvero un mezzo porno con la Parietti.

Quindi sì, discorsi non innovativi attraverso un ottica forse non sfruttata al massimo ma comunque già nota, per parlare di potere, lotta di classe e classe generica. Il tutto con toni sporchi, di difficile digestione e che non si risparmiano colpi bassi.

Per fortuna uscì prima della pandemia, proprio quando dare contro agli immigrati eccitava più di un sano porno.

Che è anche parte del motivo per cui questo film fece il suo piccolo scalpore.

Il guaio di El hoyo è che la metafora risulta lampante fin dai primi minuti, col rischio di eventuale stanca nel proseguire perché tutto avviene entro il cubicolo dei prigionieri e perché replicare costantemente all'idea di partenza non è affatto semplice, ma la vera capacità del regista sta proprio nel sapersi prende il tempo necessario, senza strafare, e riuscendo addirittura a lavorare do sottrazione, dando spazio agli attori e ai loro dialoghi che arricchiscono tutto il contorno con discorsi affilati, colti ma mai pomposi (Zorion Eguileor poi ha una faccia da cinema indimenticabile), fino a un finale che sa molto di esercizio di stile, non innovativo come tutto il film, ma che funziona.

Funziona bene.

Funziona tutto bene in questo esordio compatto e ben strutturato, senza mai avere il vero salto che molti avrebbero desiderato ma che comunque non fa sentire la propria mancanza a favore di una fantascienza politica e accusatoria, come nella migliore tradizione, che fa leva sulle ingiustizie del mondo e della sua visione classista. Una voce semi-anarchica (perché alla fine sempre da un colosso è distribuita...) ma che porta avanti l'influenza anche del miglior cinema grottesco degli ultimi anni, spruzzando Delicatessen ad cazzum quanto basta, ma anche la lezione dei maestri del genere, a dimostrazione che Munitxa ha visto i film giusti e li ha studiati con cura.

Ma non solo sci-fi, anche horror, con le sue atmosfere, senza mai strafare ma lasciando quel senso di ambiguo che rende sempre più sottile quella linea tra buoni e cattivi - e ambientarlo in un carcere aumenta il senso di angoscia.   

Nessun miracolo, ma una buona testa. Che forse è anche quello che servirebbe per avere un mondo vagamente migliore di quello che abbiamo. 







Commenti

  1. Visto al TFF e premiato per la sceneggiatura, devo dire mi è piaciuto forse anche perché conoscevo poco i vari film ai quali si rifà in qualche modo. Ci sono vari film a cui poterlo paragonare ma ho trovato il contesto ingegnoso e le metafore se vogliamo credibili. Cosa non mi è piaciuto? Un po' il finale, libero a interpretazioni varie, neanche il regista a mio parere è riuscito a rendere il suo intento. Avevo letto in un'intervista, che aveva diversi finali già pronti, raccontava che col tempo li avrebbe reso disponibili in rete. Questo a dimostrazione a mio parere di quanto la sua idea o motivazione non fosse poi così forte, OVVIO, no?
    Ciao!

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    1. Invece a me il finale è piaciuto, libero ma non troppo, il messaggio arriva chiarissimo. Credo alla fine abbia scelto quello che gli sembrava più calzante - non sapevo la storia dei finali in più, comunque :D

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    2. Ti rimando al bellissimo corto di Denis Villeneuve "Next floor" su YouTube. Fammi sapere!

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    3. Non lo conoscevo!
      Inquietante... come piace a me 😅🤩

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  2. Un film imperfetto, ma per me assolutamente significativo.
    Lo avevo messo anche nelle classifiche dello scorso anno, non tanto per il suo valore artistico quanto perché, suo malgrado, dice tanto del 2020. Piaciuto molto (a differenza della panna cotta). :)

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    1. Io sono del toro, qualunque cosa riguardi il cibo mi tocca da vicino 😬

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