COLD FISH, di Sion Sono

Nobuyuki Shamoto è un mite gestore di un negozio di pesci e acquari. Non vive bene la propria situazione famigliare da che la moglie è morta e si è risposato, causando le ire della figlia. Proprio quando dovrà rispondere di un furto commesso da lei, incontrerà il carismatico Yukio Murata, gestore di un negozio molto più grande, che diverrà subito amico della famiglia. Ma Murata nasconde un segreto molto macabro...

Continuando la propria poetica anti-sociale, il buon Sion Sono si affida a un macabro fatto di cronaca avvenuto nel suo Giappone, quella terra che si vanta di tanta sicurezza ma che, come tutte le parti, nasconde diversi rovesci di una sola grande medaglia. E a poco servono le foto della polizia impegnata a togliere i gatti dagli alberi o dei controllori dei treni che chiedono scusa per i ritardi, perché il disordine spesso si nasconde nei punti che non si possono vedere a occhio nudo.

Figuratevi se li avete a mandorla...

Poi certo, il nostro sappiamo come sia fatto - in tutti i sensi, perché mi sembra che di tabacco ce ne metta davvero poco - quindi quello che dobbiamo aspettarci non è un freddo biopic o un mero riepilogare dei fatti, ma una rielaborazione secondo il suo stile, il che vuol dire: assicuratevi di aver mangiato da almeno tre ore.

Tra l'altro, della vicenda in rete sono riuscito a trovare ben poco, quindi non so quanto il film si distacchi dalla realtà.

Cooooomunque... dici Sion Sono e di conseguenza nomini il #cinemadeglieccessi, ma quell'eccesso che non è mai fine a sé stesso e che porta sempre a un grido anarchico e di profonda critica, quella sociale, di una società impostata sul successo e la realizzazione pragmatica che tanti gap può causare nella psiche del singolo, vero marchio di fabbrica del nostro. Perché tutta la sua firumogurafi gravita intorno a questo tema.

Lo fa con la storia di Nobuyuki, un cane di paglia che avrà modo di bruciare e di bruciare a sua volta.

Il paragone col film di Peckinpah appare quasi ovvio anche per la citazione implicita che ne fa uno dei poster (il migliore, stranamente), oltre che per il fatto che Sono ha sempre guardato verso le pecore nere dell'occidente.

Ma tornando al film...

L'espediente, tanto semplice/ovvio a presentarsi, è al contempo geniale. Se per Shyamalan-Shallallero si capisce chi possa essere il villain nei fumetti perché è il contrario del supereroe, allo stesso modo qui Nobuyuki ha modo di incontrare il proprio sosia dostoevskijano, Murata - l'altro venditore, non la sorte toccata alla Monaca di Monza - per poi proseguire a ritroso tutti i piani della follia di questo apparente vincente che non sembra dover chiedere nulla a nessuno. 

Perché Yukio ha tutto quello che al signor Shamoto sembra mancare, non solo in metratura del negozio, ma anche come capacità sociali, entusiasmo e intraprendenza. Tutte le cose che, in una società che guarda sempre al risultato e al profitto, fanno pensare a un vincente, così come Nobuyuki è il classico loser. 

Sono però riesce a dare a tutti la giusta dose di profondità, tratteggiando dei personaggi coi quali è difficile non provare alcuna empatia, soprattutto questo protagonista. Una persona che può sembrare senza polso, ma che in realtà sognava una vita semplice e di piaceri semplici, forse troppo per una società che premia o vuole spingere sempre all'eccellenza come quella giapponese. 

Perché, se visti all'esterno, di questi due personaggi è facile poter dire chi sia il più realizzato, quando alla fine sono solo due perdenti ma sui lati opposti della barricata.

Cold fish quindi, alla maniera personalissima del suo autore, mette alla berlina ogni status sociale ribaltando la situazione, mostrando un'autodistruttiva furia dei buoni che però non porterà a molto altro. Solo, ci mostra quello che è l'umanità, spogliata da ogni paraocchio mentale ed educativo. E alla fine siamo tutti né più né meno dei pesci venduti dai due negozianti, creature che forse staranno nel negozio migliore, ma che infine sono costrette a stare tra quattro mura di vetro e acqua.

E continuerà così fino alla fine, con un finale nerissimo e beffardo che non lascia spazio a nessuna redenzione.

Forse, secondo Sono, la salvezza non è proprio possibile. Forse la sola felicità è quella che possiamo immaginare e che ci mostrerà in quell'ultimo fotogramma, tanto piccolo quanto sofferto, la sola speranza di un uomo che alla fine si ritroverà senza nulla. Ma comunque a vediate, sappiate che non sarà semplice. Nulla di questo film lo è.

Pure la sfera sessuale - ne è praticamente pregno - che non verrà mai vista come qualcosa di giocoso o erotico, ma sempre volta a sconvolgere. E Asuka Kurosawa sa essere davvero inquietante...

Un film che è quasi il sunto della maturità artistica di Sion Sono, nonché il suo film più celebre insieme a Suicide club. Forse un punto fermo di ogni appassionato di "cinema degli eccessi" pronto a definirsi tale, ma anche una visione necessaria per chi ama il cinema di qualità.







Commenti

  1. Quest'anno Sion Sono tornerà nel mio blog, per il terzo anno consecutivo, e chissà anche in futuro se trovo i film, comunque questo film uno di quelli che mi sono piaciuti di più (degli 8 che ho visto), il perché non lo so, forse la mia recensione lo sa...no vabbè, decisamente estremo ma incredibilmente centrato.

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    1. Ma lui sta fuori come un poggiolo, uno così deve piacere a prescindere 🤣 questo è quello più "attuabile", forse perché tratto da fatti reali, ma non perde il suo smalto è inquieta terribile proprio per questo.

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  2. Ciao , ricordo poco di questo film.
    L’ho visto quattro anni fa’.
    Mi è rimasto impresso il cinismo del villain, Murata .
    E il modus operandi degli assassini per far sparire definitivamente ogni traccia delle loro vittime.
    Lui e lei che spargono le ceneri dei cadaveri sul ponte ..mamma mia.
    Poi , ma capisco che sia un mio limite.
    Non riesco ad apprezzare certi stereotipi tipici della cultura orientale , giapponese mi pare in questo caso.
    Almeno di quei pochi film che ho visto.
    Di Sono ho visto solo questo.
    Però mi han detto che ogni suo film è diversissimo l’uno dall’altro.
    Il film è ispirato ai delitti Saitama Dog-lovers del 1993 avvenuti a Tokio

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    1. A che stereotipi ti riferisci?
      Sono è un pazzerellone, quindi... Diciamo che la sua follia gli permette di raggiungere ogni volta livelli sempre nuovi ^^` ma deve piacere come cosa, anche.
      Non sapevo, grazie di cuore per l'infornata :)

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  3. Già il fatto che abbiano gli occhi a mandorla😂
    No dai forse ho usato il termine sbagliato…ma su certe cose li trovo ripetitivi.
    Scontati.
    Il ruolo della donna ad esempio ( sottomessa ..sempre remissiva il più delle volte o spregiudicata e senza pietà al limite estremo raramente).
    Hanno una soglia del dolore diversa dagli stereotipi occidentali.
    Ma ripeto può essere un mio limite benissimo.
    Comunque faccio fatica molte volte a ricordare pure le facce perché cazzo sembrano veramente tutti uguali.
    Ad esempio dimmi te se ti ricordi il protagonista di Train to Busan per così dire😂

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    1. Ahahahah 🤣🤣 beh, somaticamente può succedere, hanno tratti mooooolto simili.
      Il ruolo della donna è dovuto proprio per il tipo di società che hanno, molto patriarcale. Sono si batte proprio contro concetti simili, a tal proposito ti consiglio "Guilty of romance". Anche il loro essere estremi è dettato da uno stile di vita quasi asettico - seriamente, per entrare in certe scuole non puoi nemmeno tingerti i capelli.

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