EL ABRAZO DE LA SERPIENTE, di Ciro Guerra

Nel 1909 lo sciamano Karamakate, ultimo della propria tribù, si trova a dover soccorrere il ricercatore Theo von Marthius, che deve ricercare una speciale erba per poter guarire da una malattia. La stessa erba gli verrà richiesta dal botanico Evan nel 1940 e, ormai invecchiato e con la memoria decadente, riprenderà il vecchio viaggio...

Delle antiche tribù amazzoniche ci è dato sapere poco, dopo che i signori del caucciù hanno devastato le loro terre e resa schiava la popolazione - ecco perché ho sempre avuto in antipatia un film come Fitzcarraldo, scusami Werner. Alcune delle testimonianze più preziose ci sono arrivate proprio grazie ai diari dei ricercatori Theodor Koch-Grunberg e Richard Evans Schultes, che si recarono entrambi in Amazzonia alla ricerca di una rara erba sacra e dai cui diari il regista e sceneggiatore Ciro Guerra si è liberamente ispirato per questo film.

El abrazo de la serpiente è un film bellissimo. Punto. 

Ma è anche una pellicola lenta. lentissima, proprio come la canoa sulla quale stanno per tre quarti di durata. Estremamente ostico e si prende i suoi tempi, forse non adatto a ogni tipo di pubblico, e lo dico senza nessun tipo di snobismo, anche perché è una di quelle pellicola che riescono a restituire molto con molto poco. Basta prestare la giusta attenzione...

Parlare di culture straniere o che non ci sono più risulta difficile per molti motivi. Da una parte c'è il perenne rischio di fare il documentarietto a là National geographic, dall'altra quello del "film fatto apposta per farti sentire in colpa", perché è innegabile come il progresso tecnologico e la globalizzazione abbiamo minato quelle che sono le tribù rimaste più a contatto con lo spirito naturale. E unirmi al grido mentre scrivo un articolo dal mio computer, attraverso internet e dopo essermi visto il film su Amazon Prime,,, ecco, mi sentirei piuttosto ipocrita, da una certa.

Ciro Guerra possiede l'intelligenza di evitare tutto questo, senza risparmiarsi delle inevitabili stoccate, ci regala un personaggio indimenticabile ma, soprattutto, un bianco e nero fantastico che da solo varrebbe la visione. Si dice che il bianco e nero sia la soluzione di chi vuole sembrare intelligente, qui invece assume, specie nel finale, una valenza doppia. Non si rifà solo alle fotografie di Koch-Grumber e Schultes, ma nell'onirico finale racchiude tutto il senso della bellissima pellicola.

Che è lunga, come già detto, e che richiede molta attenzione anche se sembra che parlino di quisquilie in più punti.

Tutto è inevitabilmente legato allo scontro tra le due culture, a come una stia scomparendo e come l'altra stia prendendo rapidamente piede. Anche il detto che "la religione è l'oppio dei poveri" risuona spesso nelle orecchie, specie per ciò che lega i due lembi temporali, dove vediamo come coloro che sopravvissero ai fatti narrati trentun anni prima abbiano abbracciato una visione che nulla ha a che spartire della stessa, dopo essere stati cresciuti da chi, pensando di operare il bene, ha solo realizzato un vero e proprio regime dittatoriale fatto di frusta e paura. Ma non ci sono buoni e cattivi in questo film, ed è anche per questo che un personaggio come quello del frate cappuccino appare molto più interessante di quello che può sembrare a prima vista, così come tutti gli altri comprimari.

Ognuno è combattuto da una duplice natura. Karamakate ha in odio l'uomo bianco, ma finirà per conoscere meglio e aprire le porte del proprio mondo ai due che incontrerà, l'aiutante del primo è passato dalla sponda occidentale, ma si sente ancora legato alla propria terra, e il mondo stesso sembra essere combattuto da una duplice natura. Perché nonostante i signori del caucciù e la Seconda Guerra Mondiale che da lontano fa sentire il proprio eco, è proprio dall'incontro con due uomini bianchi che verranno le due genesi del film.

Un film che parla di incontri, non solo i due mostrati, ma di tutti quelli possibili, questo anche per l'onirico finale, che mostra finalmente i veri colori attraverso quella che è la vera vista, l'abbraccio di quel serpente che esiste nelle leggende e che è l'esistenza stessa, così come lo scambio di testimoni tra due persone così agli antipodi. E anche la comprensione di qualcosa che solo in apparenza è finito, come ci testimonia quella cosa a cui daranno fuoco, qualcosa che ha perso la propria sacralità, ma il cui fine ultimo era forse anche altro.

Sta tutto lì, in quel vedere e accettare, in quel comprendere la vastità stessa delle persone e dei loro orrori, ma anche dei loro silenziosi punti in comune. Non è un caso che si parli poco, che si citi sempre quel contenitore vuoto, che andrà per forza riempito di ciò che non si può nominare o mostrare.

E da tutto quello, le farfalle che un giorno volteggiarono intorno a un giovane e nerboruto guerriero, troveranno qualcun altro attorno cui svolazzare. Perché tutto prosegue, come il flusso del fiume.







Commenti

  1. Stranamente mi è piaciuto, però io più freddo nel giudizio, ma ciò non toglie valore a questo sì bellissimo e pregno di significati film ;)

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    1. Credo ci voglia il giusto mood per vederlo, altrimenti può portare ad esiti tutt'altro che esaltanti ^^' io l'avevo pronto in canna, ma ho aspettato un giorno libero particolarmente tranquillo per vederlo, sapendo appunto a cosa mi sarei trovato davanti...

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