POLYTECHNIQUE, di Denis Villeneuve

Il 6 dicembre 1989, a Montréal, avvenne una sparatoria all'École Polytechnique per mano di uno studente armato di fucile. La pellicola ripercorre la vicenda, pur con personaggi fittizi e inventati per l'occasione.

Facile fare i fan di Denis Villeneuve proprio adesso, quando è sulla cresta dell'onda. Volevo vedervi quando se ne stava per i fatti suoi a Montréal a fare i film di nicchia e a dire che non è lui quello che ha vinto i campionati del mondo di Formula 1 nel '97.

Io, personalmente, all'epoca ero uno di quelli convinti che Il cavaliere oscuro fosse un capolavoro...

Comunque sia, fa sempre uno strano effetto andare a vedere come iniziarono i grandi nomi del presente e constatare se abbiano mantenuto la vena degli inizi o se si siano imborghesiti. Il nostro, per quanto mi riguarda, ha sfociato nel mainstream con l'ottimo Prisoners, ma ha semplicemente evoluto - con conseguente aumento di budget - quella che era già la sua poetica, quella di un cinema quasi asettico e claustrofobico che non sembrava voler indorare la pillola allo spettatore, caratteristica rimasta anche nelle produzioni più costose, e di questo ringrazio.

Per il suo terzo film scelse un fatto di cronaca che ancora oggi risuona nella memoria collettiva dei canadesi, il che dovrebbe far pensare al fatto che il Canada sia stato ritratto per anni come il paese più sicuro al mondo - tanto che Moore omise del tutto questo fatto nel suo Bowling for Columbine. Però ebbero pure loro il fattaccio di cronaca del decennio, anche in un paese apparentemente idilliaco come quello venne a formarsi una storia di disagio e malattia con conseguenze catastrofiche.

Villeneuve non cerca a realtà dei fatti e mette subito le mani in avanti, con un disclaimer - che poi, la bellezza, allora nessuno rompeva le palle col politicamente corretto - che annuncia come per rispetto delle vittime ogni personaggio sia inventato e che il film non vuole ricercare la ricostruzione dei fatti esatta.

Ora, pensiamoci... se parliamo di stragi scolastiche la memoria va sicuramente alla Columbine High School, complici il già citato documentario di Moore, le canzoni/implicazioni di Marylin Manson e, soprattutto, Elephant di Gus Van Sant, il film definitivo sull'argomento. Se si parla di un tema simile, tutti vanno a pensare a quel titolo. Perfino Tim Sutton non aveva potuto fare a meno di citarlo (anzi, ne fotocopia la struttura, in parte) col suo Dark night, ma Villeneuve dimostra di essere un dritto prendendone le distanze più che può con fotografia, regia e scrittura. La memoria finisce comunque a quello ma, ehi, a una certa è davvero difficile solo per la fama acquisita nel tempo.

Il buon (?) Denis non vuole fare la semplice cronaca di un massacro e nemmeno una mera pornografia violenta. Anzi, se vi aspettate dettagli scabrosi o sanguinolenti, fermatevi subito che non avrete sciroppo d'acero per le vostre papille. Quello che mi è sembrato di aver visto è più la storia di un gruppo di ossessioni e di come queste possano sfociare in diversi frangenti.

Abbiamo l'assassino, eccellente negli studi ma perfettamente carente in tutto il resto, che riverserà il proprio odio nelle femministi, il suo vero bersaglio; c'è l'amico della "protagonista", impedito nello studio e che diventerà lo specchio opposto dello sparatore, un contraltare raffinatissimo che purtroppo si perde un poco nello svolgimento finale. E poi c'è Valérie, prima osteggiata d auna burocrazia che la condanna in quanto donna e che poi alla fine diverrà il fulcro di tutta la vicenda.

Tre personaggi, tre vite. Una al limite, due che poi saranno condizionate per sempre da quello che succederà, anche se con esiti diversi.

Villeneuve riesce a trattare materiale che scotta - e tanto, pure - in maniera puntigliosa e precisa, senza sensazionalismi o melensaggini varie. Mi è piaciuto come siano riusciti a creare un assassino simile, con quel monologo finale che parla della sua fine che non toglie nulla alla colpa di cui si macchiò, ma che ritrae quello che successe come una vicenda che ha visto solo perdenti e vinti, senza creare postriboli di accusatori con la bava alla bocca, ma mostrandocelo comunque coke quello che fu: un ragazzo con dei problemi. Questa distanza, la stessa con la quale lo riprenderanno nell'ultima ripresa, è qualcosa che mi ha toccato molto.

In tutto il resto, Villeneuve dirige con mano ferma e sicura, sapendo quando far entrare l'ansia e il movimento e quando interrompersi. Un lavoro da manuale, per uno che era solo al terzo film.

Certo, il finale svacca un poco, ma credo anche che fosse l'unico modo per dare un messaggio di speranza dopo tutto il male visto e vissuto con gli occhi di quei tre, unico neo di un film glaciale (forse per questo a tratti risulta quasi fuori posto) ma che riesce a scuotere e a distanziarsi da quanto già detto sull'argomento.







Commenti

  1. Ecco questo mi manca, lo recupererò grazie per la dritta ;-) Cheers!

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    1. Lo trovi su Amazon Prime :) spero di riuscire a vedere presto Maelström, anche...

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  2. Un inizio col botto (ops) diciamo, anche se questo non è il suo primo, comunque già da qui si vede che da lì a poco sarebbe diventato il regista che è, capacissimo e con un'idea di cinema eccezionale ;)

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    1. Guarda, avevo un mente LA STESSA IDENTICA battuta ma mi sono trattenuto, grazie per non averla fatta perdere 😂😂🤣

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