A CLASSIC HORROR STORY, di Roberto De Feo e Paolo Strippoli

Un gruppo di persone parte, grazie al car sharing, verso il Sud Italia. Dopo un incidente si ritrovano dispersi e, come unico riferimento, una strana e inquietante casa in legno. Ma saranno presto preda di alcuni folli individui, legati a una maledizione del posto, anche se...

Se vogliamo trovare i due titoli spartiacque nel genere horror delle ultime decadi, sono stati sicuramente Scream di Wes Craven e Cabin in the woods di Drew Goddard, due pellicole che hanno saputo analizzare e fare a pezzettini il genere di appartenenza creando un ideale prima e dopo. Ed è proprio a quelli che Roberto De Feo smebra volersi rifare nel suo arrivo a Netflix, con tutti i se e ma del caso, contando che il suo The nest era un film che viveva principalmente di rimandi, e non nel senso che i corridoi della villa torinese erano percorsi da uomini che vomitavano. Ma anche qui, rifarsi a dei film che snaturavano i cliché e tutti i rimandi tipici delle pellicole horror è una mossa che mostra il fianco in più di un'occasione, per quanto il risultato finale sia sicuramente curioso.

E qua, in tutte quelle opere che cercano di differenziarsi il più possibile dalla media, anche azzardando, rimane il sempreverde quesito: capolavoro o cagata pazzesca?

Spesso la verità sta nel mezzo.

Aiutato dall'amico Paolo Struppoli sia alla regia che alla sceneggiatura, e soprattutto dai baiocchi di Netflix e della Colorado film (costola della Rainbow di Iginio Straffi, il creatore delle Winx - dfq - che figura anche tra i produttori) il buon De Feo prosegue la sua missione di riportare l'horror sugli schermi italiani, grandi o piccoli che siano, in una maniera che non accetta compromessi e guarda alle origini dei film che hanno fondato un immaginario. Al suo secondo round con la macchina da presa prova ad alzare l'asticella e il risultato è un film imperfetto quanto volete, ma anche visibilmente incazzoso e che ha qualcosa da dire. Che scelga poi la deriva intellettual-fighetta e non la pura rabbia punk, a me fa storcere il naso, ma le opinioni sono come le palle: ognuno ha le sue.  

Diciamo subito che quella degli omaggi è una piaga che sta attraversando il nostro tempo e che, in questa veste, ogni opera ormai ne esce già azzoppata. Nell'era della nostalgia omaggiare qualcosa sembra d'obbligo, peccato che pochi riescano a fare un vero atto d'amore e non una semplice emulazione, perché l'omaggio deve essere fattore trainante della trama e degli intenti del film, non qualcosa che snaturi il suo proseguire e crei una sorta di deja-vu. Altrimenti, è come fare una copia perfettamente uguale della Gioconda: bravo, ma c'è un motivo se Da Vinci è famoso e tu no...

Inutile dire quindi che la prima parte di A classic horror story sia proprio un guazzabuglio di citazioni, riproposizioni di scene ed atmosfere che potranno piacere a tanti, ma che ad altrettanti stuferanno. Ma non si può negare che non ci sia del talento, perché i mezzi sono stati usati benissimo e in tutto il loro splendore, gli effetti speciali artigianali ci sono e fanno schifo il giusto, creando tutto quello che dovrebbe esserci in un horror. 

Poi arriva la parte metatestuale...

Che è un po' croce e delizia di tutto il film, perché rivela la sua natura di j'accuse verso un'industria, quella italiana, assuefatta dal dolore ma che non vuole dare spazio a un certo cinema, quello che De Feo vuole proporre - e che riesce a fare grazie al servizio streaming più potente. Arte che parla di sé stessa, accuse verso il mondo che la crea... ma perché alla lunga tutto mi sembra un gnegnegne da bambino e i punti veramente importanti del discorso vengono solo accennati?

Perché non basta che mi omaggi i grandi classici del passato per fare un buon lavoro, non mi serve la critica feroce al cinema italiano se poi alla fine quello che ne esce è "solo" uno sbuffetto, perché durante il film cose belle ce ne sono. Quando De Feo e Strippoli escono dal loro delirio citazionista e vanno a briglia sciolta, ci sono delle sequenze incredibili, come quella della tavolata. Due autori che riescono a mettere inquietudine con poco (il lappare delle lingue o lo sbeffeggiamento mentre la Lutz piange), ma allora perché questo sovraccumulo di robe, mettendoci pure la mafia di mezzo? Cioè... la mafia, davvero. E posso capire che i tre ossicini della maledizione siano i padri fondatori delle principali correnti mafiose, ma sono tutte cose che riempiono all'inverosimile un finale che cerca di essere il più delirante possibile, senza però avere il coraggio di essere mai veramente efferato.

E quell'epiloghetto potevano davvero risparmiarselo...

Detta così sembra che sia tutto uno schifo, ma il film in realtà regge benissimo, non offre mai un attimo di noia ed è realizzato con tutti i crismi, cercando di differenziarsi (come gli riesce...) in tutti i modi. Un'operazione simile, soprattutto ora che il cinema nostrano è in rimonta, non si fa di certo disprezzare, nonostante tutti i se e i ma. De Feo e Strippoli ci hanno privato ed hanno in parte vinto la scommessa, e da queste parti chi ci prova avrà sempre più rispetto di chi fa i compitino ben fatto, al di là del risultato.

PS: ma il personaggio di Matilda Lutz non parte per qualcosa che durante la seconda metà del film viene proprio dimenticata?







Commenti

  1. Si hai ragione è sei uno dei pochi che l’ha notato.
    Siete solo in due finora che hanno sottolineato sta cosa .
    E di post “nuovi” su sto film sui vari blog ne stanno pubblicando una media di uno al di’ da quando è uscito su Netflix.
    Sto interessamento così inaspettato vuol dire che il film è riuscito a far colpo sul pubblico.
    Lo dimostrano le varie classifiche …è sempre tra i più alti tra quelli seguiti in streaming.
    Personalmente non lo considerò un capolavoro.
    È guardabile.
    Un festival delle citazioni , omaggi …diciamo pure del tarocco .
    Però se ha funzionato tanto Quella casa nel bosco ( che in fatto di omaggi agli horror del passato è stato forse il primo) mi pare giusto che altrettanto funzioni la quasi versione italiana di quel film😂…
    Ciao

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    1. E quel particolare poi può portare a connotazioni piuttosto... diciamo... fastidiose, ecco.

      Mmmh, due cose diverse. Cabin in the woods usava le citazioni per dare loro un senso, faceva scatologia. Qui è proprio #fanservice. Bello e tutto quanto, ma finisce lì.
      Per me ha attirato il fatto che sia italiano (molti non si sono accorti di molte cose...) e la pubblicità massiccia di Netflix. Ma comunque, risultato auspicabile per un prodotto nostrano. Chapeu!

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  2. Ma dai!!!
    L' "epiloghetto", come lo chiami te, è la cosa più bella del film! È quello che spiega tutto, come potevano non metterlo? L'orrore non è quello che si vede nel film (e NEI film, ecco lo scopo delle citazioni) bensì l'assuefazione ad esso nella vita di tutti i giorno... la banalità del Male.
    Non sarà un capolavoro, ma a me è piaciuto :)

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    1. Non mi riferisco a quello sulla spiaggia, ma quello subito dopo. Che poi, diciamolo, era un tema che andava molto più approfondito per l'effetto che vorrebbe creare - e la questione sul personaggio della Lutz a distanza di giorni mi appare davvero fastidiosa per cime è stata trattata...

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