GREEN ROOM, di Jeremy Saulnier

Gli Ain't Rights, una band punk a corto di serate, dopo un ingaggio andato a male ottiene un pass per suonare a quello che si dimostrerà essere un raduno di estrema destra. Usciti miracolosamente incolumi dopo una provocazione a tema, la situazione degenererà velocemente quando assisteranno all'assassinio di una ragazza. Verranno segregati in una stanza, e sarà solo l'inizio dell'incubo.

Jeremy Saulnier aveva dimostrato di essere capacissimo di raggiungere risultati a dir poco stupefacenti con pochissimi mezzi. Ora, al terzo giro (ma molti lo considerano il secondo, dimenticando il suo vero primissimo film) ha, sempre nella natura del cinema indipendente americano, un budget ridotto ma comunque all'altezza delle sue ambizioni e può far vedere di che pasta è fatto. Il bello, senza snaturarsi e mantenendo intatta la sua poetica.

Che non è il daltonismo, perché dopo Blue ruin un altro film che ha un colore nel titolo non me la racconta giusta - poi con Netflix ci girerà intorno facendo Hold the dark.

Diventa difficile poter giudicare questo film senza rifarsi alla pellicola precedenze, che con molta nonchalance stappava lo spumante e si metteva a gridare "Ehi, gente, qui abbiamo un nuovo autore!", perché l'avvio per una poetica specifica sembrava proprio effettuato. E si conferma qui, inserendo delle persone ai margini in contesti violenti che non hanno le capacità o l'esperienza di gestire. E grazie al kaiser, vorrei vedere chi di voi riuscirebbe a gestire degli stracacchio di nazipunk armati fino ai denti.

Resta però il comparto tecnico e di scrittura, e su quello non si sa bene come rapportarsi perché togliendo da uno di aggiunge all'altro. Certo, c'è sempre quello detto sopra, ma se nel film del vagabondo si riusciva a provare empatia per lui grazie a pochissimo - una semplice inquadratura o la ripresa delle sue imprese strampalate - qui abbiamo troppi elementi, quindi tanto viene tolto alla caratterizzazione dei personaggi e viene aggiunto alle gestione della tensione e alla rappresentazione della violenza.

E sinceramente, a tema rock-punk, preferirei mille opere come questa che quella paraculata assurda di Sound of metal.

Saulnier già con la prima inquadratura ci dice tutto quello che ci serve sapere del suo film: un pulmino andato fuori strada, accompagnato da un movimento di macchina molto elegante e una fotografia plumbea. Tutto il film sarà così, qualcosa che non va come previsto e che deraglia, però ripreso con una raffinatezza da far impallidire tutti quegli snob che schifano a prescindere il cinema di genere.

E Green room è infatti un film elegantissimo che ha tutto quello che serve, a cominciare dalle facce giuste (ah, ritorna Macon Blair, pure), fino alla violenza più efferata. Ma tutto arriva gradualmente, senza scomporsi o aver voglia di strafare. Quel poco che mostreranno mano a mano basterà per sempre e ci lascerà addosso quel senso di ineluttabilità che pare così caro al regista statunitense, pur senza la disperazione precedente. Qui si gioca sull'essere forsennati, ma consci che alla fine, dopo l'adrenalina a mille, non ci saranno né vincitori né vinti, e nemmeno atti di eroismo.

Non era un eroe Dwight e non lo è nessuno dei tizi coinvolti in questa carneficina, dove a ogni azione legittima ne sussegue una più imbranata da ambo le parti coinvolte, dando quel quid di imprevedibilità in grado di rendere ancora più gustoso il tutto.

Resta solo da sedersi comodi e godersi lo spettacolo, quello dell'emoglobina e delle frattaglie mostrare e sparse con intelligenza e gusto per l'eccesso, perché non c'è un attimo di respiro senza però arrivare col fiato corto. 

Quindi sì, umanamente offre molto meno, ma a livello tecnico c'è tutto quello che serve a un film di questo tipo, in modo da renderlo un cult immediato per tutti gli appassionati di film d'assedio, dei quali riprende senza tanto vergognarsene la struttura narrativa. Solo con il guizzo di mostrarci il male non disumanizzandolo, ma rendendolo alla stregua degli oppressi, che a tratti dimostreranno anche tutta la codardia insita nel genere umano.

Energico, adrenalinico, ultraviolento e fatto come Odino comanda, se non di più. Io non so cosa volete in un film, ma se non vi fate prendere da una roba come questa non siete belle persone, sappiatelo.

E a tutti i cinefili internettari: beh, questo ha partecipato alla Quinzaine des réalisateurs di Cannes. Pappapero!

PS: fa piangere il cuore vedere Anton Yelchin, morto poco dopo l'uscita a soli ventisette anni. Ragazzo, ci manchi!







Commenti

  1. Quanto mi è piaciuto questo film d'assedio con i nazisti come cattivi, come dovrebbe sempre essere anche se qualcuno ancora si ostina a non pensarla così ;-) Cheers

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    1. Non ci sono abbastanza film dove certuni prendono le mazzate che si meritano ❤

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  2. Io non dimentico il primo, però questo al contrario del secondo ho visto, sorprese positivamente anche me, seppur non mi convinse abbastanza da dargli un bel voto..
    Comunque no dai, Sound of Metal è bello, paraculo forse ma il soggetto è unico.

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    1. Questo è punk nell'animo, diciamo, cosa indispensabile se parli di musicato - anche di sfuggita.

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