ZOMBIE CONTRO ZOMBIE, di Shin'ichirō Ueda
Basti pensare a Last action hero con Arnold "Dio" Schwarzenegger, oppure a King che inserisce sé stesso nel mezzo della saga de La Torre Nera o Jay e Silent Bob: fermate Hollywood. Per assurdo potremmo metterci anche un episodio de I Fantagenitori o di Keroro, per farvi capire, anche se il mio esempio preferito è quel lavoretto semisconosciuto di Si gira a Manatthan di Tom DiCillo.
Quindi, si può parlare di tutto, basta farlo col giusto rispetto. Shin'ichirō Ueda decide di usare la commedia demenziale per parlare alla propria maniera di metacinema e di tutti i meccanismi che ci stanno dietro.
Questo Ueda poi è un tizio abbastanza strambo. Uno che a vent'anni molla tutto per trasferirsi a Tokyo in autostop ha un animo romantico che incontrerà sempre il mio plauso umano, e il fatto che dopo anni di sacrifici economici sia riuscito a fondare la sua casa di produzione (la Panpokopina, altra cosa dai rimandi fantozziani) mi fa credere che a volte i sogni si avverino davvero. Quindi, nel sapere tutto questo, anche il risultato finale non mi sorprende più di tanto per i tassi di assurdità che riesce a raggiungere.
Ah, ovviamente noi italiani ci siamo messi in mezzo come sempre, dando questo titolo nostrano così demenziale a sostituzione dell'internazionale e ben più efficace One cut of the dead.
E il one cut c'è per davvero, e stando ad alcune info trovate in giro, la prima mezz'ora è stata davvero girata in un solo step, alla faccia di Iñárritu. Ci troviamo così immersi nell'azione e nelle dinamiche di questo set che farebbe invidia a quello di Boris, a metà strada tra l'ammirazione per uno sforzo realizzativo simile e lo straniamento perché... diciamo... davvero, a tratti sembra proprio che non quadri qualcosa. Si capiscono tutti i problemi di budget e via dicendo, ma gli attori, per quanto convincenti nelle parti che lo richiedono, a tratti sembrano davvero fuori posto, agiscono in maniera assurda e pure tutte le vicende non quadrano o hanno esiti a dir poco... stranianti, ecco.
In più avvengono delle cose che non hanno una vera e propria logica.
Apparentemente...
One cut of the dead ci mostra così una prima mezz'ora davvero assurda e che non segue degli schemi precisi, fino a continuare poi in una maniera che non sto a dirvi (nulla di così sconvolgente, ma comunque, estremamente simpatico) e che rivelerà tutta la funzione metacinematografica dell'esperimento.
Perché lo scopo del film di Ueda non è quello di sconvolgere lo spettatore e dare nuova luce a un genere che sta ritornando in auge negli ultimi tempi. E' il semplice omaggio che, a differenza di quelle slecchinate agli anni Ottanta che ci stanno facendo uscire dalle orecchie nell'ultimo decennio, ha solo la funzione di divertire e mostrare quello che succede "dall'altro lato" della macchina da presa, dando risposta a tutti i nodi lasciati in sospeso in quel piano sequenza e mettendo a posto anche tutte le imperfezioni tecniche e di trama che sembravano esserci.
Ueda prende il mezzo cinema e ci dice: "Questo è quello che facciamo, che amiamo e che ci diverte. Divertitevi con noi". Ma lo fa in maniera fresca e disimpegnata, senza quell'alone di postmodernismo de sta ceppa che, diciamolo chiaramente, ha anche un po' rotto i cosiddetti. Prendiamo il peggio del peggio e facciamo vedere quanto bello può esserci dietro anche all'operazione più discutibile.
Non negli annali no, ma rimarrà nella memoria per un bel po' di tempo, geniale, folle e bizzarro come piace a me, senza quel postmodernismo che a volte effettivamente rompe.
RispondiEliminaMi ha dato l'idea che tutti debbano essersi divertiti un sacco :)
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