ZOMBIE CONTRO ZOMBIE, di Shin'ichirō Ueda

Una scalcagnata troupe cinematografica sta girando un film horror sugli zombie, anche se con esiti a dir poco disastrosi, tra un regista irascibile e un'attrice protagonista che non riesce a dare il meglio. La cosa si complica quando dei veri zombie attaccano il set, ma...

La meta arte è, in parole povere, l'arte che parla di sé stessa. Quando si parla di metacinema, metaletteratura o tutte quelle cose precedute da quel suffisso che sembra il raggiungimento di una tappa (inteso come arrivo, non come una donna non molto alta), si fa sempre riferimento ad opere che parlano del media stesso in cui sono inseriti. Un termine spesso usato a sproposito e che fa pensare a cose noiosissime, tipo il professor Ricciardelli di Fantozzi, ma in realtà come ogni strumento conta soprattutto il modo in cui lo usi. Senza scomodare Vertov, ci sono un sacco di esempi pop dove è stata applicato questo modus operandi e in alcuni casi c'era pure da menare. 

Basti pensare a Last action hero con Arnold "Dio" Schwarzenegger, oppure a King che inserisce sé stesso nel mezzo della saga de La Torre Nera o Jay e Silent Bob: fermate Hollywood. Per assurdo potremmo metterci anche un episodio de I Fantagenitori o di Keroro, per farvi capire, anche se il mio esempio preferito è quel lavoretto semisconosciuto di Si gira a Manatthan di Tom DiCillo.

Quindi, si può parlare di tutto, basta farlo col giusto rispetto. Shin'ichirō Ueda decide di usare la commedia demenziale per parlare alla propria maniera di metacinema e di tutti i meccanismi che ci stanno dietro.

Questo Ueda poi è un tizio abbastanza strambo. Uno che a vent'anni molla tutto per trasferirsi a Tokyo in autostop ha un animo romantico che incontrerà sempre il mio plauso umano, e il fatto che dopo anni di sacrifici economici sia riuscito a fondare la sua casa di produzione (la Panpokopina, altra cosa dai rimandi fantozziani) mi fa credere che a volte i sogni si avverino davvero. Quindi, nel sapere tutto questo, anche il risultato finale non mi sorprende più di tanto per i tassi di assurdità che riesce a raggiungere.

Ah, ovviamente noi italiani ci siamo messi in mezzo come sempre, dando questo titolo nostrano così demenziale a sostituzione dell'internazionale e ben più efficace One cut of the dead.

E il one cut c'è per davvero, e stando ad alcune info trovate in giro, la prima mezz'ora è stata davvero girata in un solo step, alla faccia di Iñárritu. Ci troviamo così immersi nell'azione e nelle dinamiche di questo set che farebbe invidia a quello di Boris, a metà strada tra l'ammirazione per uno sforzo realizzativo simile e lo straniamento perché... diciamo... davvero, a tratti sembra proprio che non quadri qualcosa. Si capiscono tutti i problemi di budget e via dicendo, ma gli attori, per quanto convincenti nelle parti che lo richiedono, a tratti sembrano davvero fuori posto, agiscono in maniera assurda e pure tutte le vicende non quadrano o hanno esiti a dir poco... stranianti, ecco.

In più avvengono delle cose che non hanno una vera e propria logica.

Apparentemente...

One cut of the dead ci mostra così una prima mezz'ora davvero assurda e che non segue degli schemi precisi, fino a continuare poi in una maniera che non sto a dirvi (nulla di così sconvolgente, ma comunque, estremamente simpatico) e che rivelerà tutta la funzione metacinematografica dell'esperimento.

Perché lo scopo del film di Ueda non è quello di sconvolgere lo spettatore e dare nuova luce a un genere che sta ritornando in auge negli ultimi tempi. E' il semplice omaggio che, a differenza di quelle slecchinate agli anni Ottanta che ci stanno facendo uscire dalle orecchie nell'ultimo decennio, ha solo la funzione di divertire e mostrare quello che succede "dall'altro lato" della macchina da presa, dando risposta a tutti i nodi lasciati in sospeso in quel piano sequenza e mettendo a posto anche tutte le imperfezioni tecniche e di trama che sembravano esserci.

Ueda prende il mezzo cinema e ci dice: "Questo è quello che facciamo, che amiamo e che ci diverte. Divertitevi con noi". Ma lo fa in maniera fresca e disimpegnata, senza quell'alone di postmodernismo de sta ceppa che, diciamolo chiaramente, ha anche un po' rotto i cosiddetti. Prendiamo il peggio del peggio e facciamo vedere quanto bello può esserci dietro anche all'operazione più discutibile.

Un atto d'amore imperfetto quanto volete, che sicuramente non finirà negli annali del cinema... ma quanto divertimento, signori. Per un attimo chiunque vorrà essere un regista.







Commenti

  1. Non negli annali no, ma rimarrà nella memoria per un bel po' di tempo, geniale, folle e bizzarro come piace a me, senza quel postmodernismo che a volte effettivamente rompe.

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    1. Mi ha dato l'idea che tutti debbano essersi divertiti un sacco :)

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