THE LONELY HEARTS KILLERS, di Fabrice du Welz
Fabbry, lo sai che ti voglio bene?
Martha (non la mamma di Batman...) e Ray furono una coppia che segnò l'America degli Anni 40. Lui dopo un degenza in carcere si appassionò ai riti voodoo, affermando che gli spiriti gli avevano conferito dei poteri magici per sedurre ogni esponente del gentil sesso, e si fece strada rubando i possedimenti alle signore che truffava. Lei invece era una donna che soffriva di obesità dopo un problema ghiandolare dovuto a un'adolescenza giunta in anticipo, fu violentata dal fratello e cacciata di casa dalla madre quando denunciò il fatto, provò a lavorare come infermiera ma a causa del suo peso fu impiegata per pulire i cadaveri e dopo un atteggiamento promiscuo rimase incinta di un uomo che non volle mai riconoscere il bambino - e col bebè giunto dopo non andò molto meglio.
Si conobbero tramite un annuncio per cuori solitari e quando Martha venne licenziata, affidò i figli all'esercito della salvezza e prese armi e bagagli per seguire Raymond, il quale, colpito dalla devozione, la accolse nelle sue imprese spacciandola per sua sorella. Lei iniziò a uccidere a causa della sua folle gelosia e portarono avanti "l'attività" in quella maniera.
Furono condannati alla sedia elettrica, imputati di ben diciassette omicidi. La stampa dell'epoca si dedicò con estremo sensazionalismo al loro caso, lanciando la prima ossessione dovumentata per i killer stellestrisce. Le ultime parole di Raymond furono: "Voglio dirlo, amo Martha! Che ne sa il pubblico dell'amore?"
Pare quindi subito chiaro che a quel zuzzurellone a 'sto giro, per completare in parte il quadro, dopo il senso di possesso prealessandrino o meno sul ruolo del machismo, voglia intessere un discorso sulla morbosità delle relazioni. Quindi dopo il volere a tutti i costi, l'essere voluti, il trovarsi all'interno di qualcosa a tutti i costi. Si riscontrano elementi che allacciano sempre più al duo criminale (la cicatrice in testa di lui, che Raymond si procurò in un cantiere e che gli causò per sempre forti emicranie) e che creano un particolarissimo amor fou della vicenda.
Du Welz riesce a farci affezionare a un'anima smarrita e ingenua come quella di Gloria (anche se quella camminata iniziale fa intendere qualcosa...) per poi ribaltare la prospettiva e portarci in un vortice omicida. Ma sempre nel suo stile, eccedendo, abbracciando soluzioni visive differenti ogni volta e incappando in sperimentalismi assurdi. Uno su tutti, lei che canta una canzone romantica poco prima di tagliare con una sega una delle vittime.
Maronn so' già accaldato!
Accompagna tutto con una fotografia sporca, scelta stilistica precisa ma anche necessità - non si direbbe, ma questo film è un gradito sotto il "costo zero", dato che il nostro aveva quasi rischiato di giocarsi la carriera coi titoli precedenti - per mostrarci una relazione malata, ipocrita e che porta alle estreme conseguenze la necessità di doversi per forza sentire in due in un mondo che non vede il singolo.
Tutto è molto bello, se vi piace un certo cinema, e procede spedito verso il finale. Lo schema è sempre quello e si gioca per tutta la durata ad alzare la posta in carico, tanto che du Welz a tratti pare farsi i pompini da solo per come riesca a peggiorare sempre di più - e a una certa tutti i killer devono citare Sion Sono. Ma i piccoli problemi di cuore nati da un annuncio che profuma di sentore arrivano quando i nodi giungono al pettina, quel delirio finale che sfocia leggermente nell'esercizio di stile perché, ammettiamolo, superarsi oltre un certo limite diventa particolarmente difficile.
Se all'inizio mi aspettavo che buttassero nel mucchio pure la necrofilia - phew, pericolo scampato - che tutto non potrà proseguire egregiamente lo si intuisce quando vengono messi in mezzo pure dei bambini. Qui ci risparmiano torture serbe ma mettono in luce i limiti di un film che non poteva girare in tondi per sempre, pur facendolo magnificamente, e arrivando a una conclusione che chiude un discorso già esplicitato durante tutto il film e che nega la tuonata che ci si sarebbe aspettati.
Lì du Welz tira un attimo il freno (non so se sia un bene o meno) per darci un finale più introspettivo, più taciuto, una tappa obbligata che però mi ha lasciato addosso un senso di incompiuto, pur sapendo come sarebbe potuta terminare la vicenda.
Alleluia (i nostri titolisti sono sempre dei geni, eh) paga un poco lo scotto dell'ispirazione originaria, dato che la storia degli elementali e delle emicranie viene vagamente dimenticata, oltre all'estro di un regista che con questo film ha segnato un fine ultimo della sua carriera, visto l'arrivo delle commissioni successive...
Spiccano per bravura Laurent Lucas e la almodovoriana Lola Dueñas, soprattutto quest'ultima per come riesce a passare da un estremo all'altro, enfatizzando ogni minima sfumatura. Davvero, qualcosa di totalmente inaspettato - e dire che la parte inizialmente non doveva nemmeno essere sua.
Scopri qui che da noi l'hanno tradotto in Alleluia... Devo dire che mi è piaciuto pur avendo le stesse riserve sul finale, ma dello stesso autore continuo a preferire di gran lunga Calvaire.
RispondiElimina"Alleluia" in realtà è il titolo originale, quello lungo è la versione 'internazionale', tra cui quella italiana.
EliminaTra l'altro, tutti i film di questa trilogia hanno una sola parola... Ma du Welz ha detto che si tratta solo di una coincidenza 🤣😅