HAPPY END, di Michael Haneke

La famiglia Laurent è composta da soggetti alquanto deprecabili. La giovanissima Eve, all'insaputa di tutti, avvelena la madre, rea di non ascoltarla abbastanza, passando così alle cure del padre Thomas, risposatosi, che intesse una relazione clandestina e sadomaso con una musicista. Tutto questo, mentre zii e cugini sono alle prese con un incidente avvenuto nell'azienda fondata dal patriarca Georges, che...

Mi rendo conto che portare addosso il peso di una carriera, specie se questa è stata la migliore possibile per un autore - anzi, Autore - sia quanto di peggio possa capitare e che chiuderla degnamente la più insidiosa delle magagne. Insomma, un giro di parole piuttosto goffo per dire che...

... beh, potrà piacere o meno, ma Michael Haneke è rimasto un sadico bastardo fino alla fine.

Già dal titolo fa capire che questo possa essere un canto del cigno e che quel Happy end spadroneggiante sulla locandina lasci inalterato il sadico umorismo che ha caratterizzato tutto il percorso di Haneke come cineasta. Del resto, parliamo di un ormai arzillo ottantenne che al suo dodicesimo (undicesimo, se non contiamo il remake di Funny games da lui stesso diretto) film ha detto tutto quello che si poteva dire con un cinismo che non ha eguali - e che, manco a dirlo, ma lo ha fatto sempre adorare.

Molto umilmente, lo definisco in assoluto uno dei miei registi preferiti, motivo per cui ho aspettato tanto per vedere questo film, perché un suo addio alle scene era già annunciato e mi doleva un poco salutare una mente tanto brillante e disillusa.

Certo, il film mi ha vagamente deluso, ma riconosco comunque che concludere la carriera con due capolavori di fila (Il nastro bianco e Amour per me sono due pellicole seminali del post-duemila) sarebbe stato ingeneroso verso chiunque. Ma quello che importa è che fino alla (apparente) fine il nostro non abbia perso l'odio per l'umanità che lo ha sempre caratterizzato.

Il film, sostanzialmente, è un clamoroso sticazzi da parte di uno che non l'ha mai mandata a dire.

Potremmo affermare con vaga sicurezza che l'austriacone nella sua lunga carriera abbia sempre parlato di due temi: il marcio che può raggiungere l'animo umano e la presa di distanza dalla borghesia. Borghesia della quale fa parte, va ammesso. Due temi che hanno caratterizzato tutto il decadentismo dei tempi moderni e che lui ha sempre trattai con tutto il disprezzo possibile - anche se l'uscita sul #meetoo non gliel'ho mai perdonata - e che dopo le sue analisi sempre impeccabili potrebbe quasi aver esaurito qualcosa da dire proprio su larga scala. Ecco perché il ritorno sulla tematica da parte di uno che si è fatto portavoce della stessa potrebbe far storcere il naso.

Nel suo precedente titolo aveva abbandonato le atmosfere morbose per concentrarsi su una storia più piccola, intima, dimostrando che pure lui poteva avere un cuore e mettendo in scena forse una delle rappresentazioni più vere e anti-retoriche del sentimento per eccellenza. A questo giro ritorna a quel rigore che sembra essere diventata la casa in cui sostare, ma portando con sé tutto il vecchio che ha inanellato nel proprio percorso, ribadendo quanto affermato in precedenza ma in una veste sempre uguale a sé stessa, eppure nuova.

Niente ragazzini disabili torturati, messaggi minatori o vessazioni sessuali. Tutto sta nel quotidiano, con qualche spinta concettuale, ma nel suo solito freddo rigore, per una vicenda che, spiace dirlo, ma non ingrana mai del tutto.

Si risparmia gli auto-pompini alla Von Trier de noartri, ma cade anche lui nella trappola dell'autocitazionismo, riportando in un discorso il finale di Amour e iniziando con uno stile he ricorda il quasi dimenticato Caché. Resta sempre il dubbio che non si tratti di mostrare la minchia al mondo, quanto di una carenza di idee, per una vicenda che non riesce mai a risultare davvero interessante se non negli accenni che portano all'Haneke che fu, quelli più consolidati e di facile presa per un pubblico che lo ha amato così tanto.

Anche il cast corale non aiuta perché, per quanto tutti bravissimi (c'è pure il Kassovitz de La haine e il nazi di Freaks out) nessuno riesce mai a dominare su schermo. E pure le vicende a essi correlate non trovano mai il modo di mostrare adeguatamente tutto lo schifo morale che vorrebbe arrivare. Ci sono sporadici passaggi, ma di alcuni avvenimenti non se ne sentiva molto la mancanza - e poi, Toby Jones usato così poco e così male?

Resta lo sguardo di Eve, forse il personaggio più agghiacciante di tutti, e la tragica rassegnazione di un Trintignant che comprende quanto al male del mondo e di quella famiglia disfunzionale nella sua apparente riuscita agiata non ci sia possibilità di salvezza. E una scena finale che riscatta un film forse fiacco, ma comunque feroce nelle intenzioni.

Ma credo anche che aspettarsi il miracolo da chi ha dato così tanto al cinema proprio in quello che dovrebbe essere l'ultimo (o uno degli ultimi) tassello di una formidabile carriera a una certa sia anche troppo.

Se ne vorrebbe sempre di più, quando raggiungi certi livelli di disagio. Ma il fatto è che a quei vortici di delirio e rassegnazione che hanno formato il cinema dell'austriaco devo tanto, forse troppo, e che avrei voluto vederli al massimo del loro potenziale.

Prendete questo come il commento di un fan accanito e innamorato di questo folle vecchietto.







Commenti

  1. Io avevo sentito dire che il buon Haneke stava girando una serie tv distopica per la tv inglese, poi temo che il Covid ci abbia messo lo zampino... ad ogni modo credo (e spero) che non si sia affatto ritirato. Quanto a "Happy end", indubbiamente non si può dire che sia il miglior film della sua carriera ma non si possono girare sempre capolavori: credo che il difetto maggiore di "Happy end" stia nel fatto che è molto prevedibile, quasi un sunto dell' Haneke-pensiero, tuttavia non lo definirei un brutto film: del resto si tratta di una pellicola che lui ha girato quasi improvvisamente, dopo che (purtroppo) per beghe produttive non aveva potuto dirigere "Flashmob", un film sullo strapotere dei social che è rimasto incompiuto. "Happy end" è stato girato quasi in corsa, probabilmente per contratto, e soffre un po' di creatività, non ci sono dubbi.

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    1. Non sapevo di queste dinamiche 😱 grazie delle specificazioni.
      E sì, non si possono girare solo capolavori... e lui ne ha inanellati almeno tre di fila. Direi che in quanto a dare, ha dato 🤓

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